Punta Perotti, i terreni dell'ecomostro tornano ai Matarrese

Cronaca
Aprile 2006: il complesso di Punta Perotti viene abbattuto
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Nel 2006 vennero distrutti i tre palazzi sulla spiaggia di Bari. Ora il Gup ha deciso la restituzione dei terreni alle imprese che li costruirono

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Il gup del Tribunale di Bari Antonio Lovecchio ha revocato la confisca dei suoli su cui sorgeva l'ecomostro Punta Perotti, e ha disposto la restituzione dei terreni alle imprese costruttrici che subirono la confisca al termine del processo per lottizzazione abusiva dei suoli.  Le tre società costruttrici sono Sudfondi, Mabar e Iema riconducibili alle famiglie Matarrese, Andidero e Quistelli.

La richiesta di restituzione dei terreni nasce da una decisione del 20 gennaio 2009 della Corte europea dei diritti dell'uomo che ha ritenuto la confisca dei suoli (disposta al termine di un procedimento per lottizzazione abusiva) una sanzione arbitraria perché gli imputati sono stati assolti dalle accuse contestate loro per 'difetto dell'elemento psicologico' del reato. E' invece passata in giudicato la sentenza che aveva dichiarato abusiva la lottizzazione. Lovecchio ha ereditato il fascicolo dal collega Giuseppe De Benedictis. Solo il Comune di Bari si era opposto alla revoca della confisca, mentre Procura della Repubblica e i tre costruttori si erano detti favorevoli alla restituzione.

Il complesso di Punta Perotti - tre saracinesche di 13 piani ciascuna sul lungomare sud di Bari, che chiudevano orizzonte e vista - fu abbattuto in due fasi (2 e 24 aprile 2006) dopo una battaglia giudiziaria durata diversi anni. Trecentomila metri cubi di cemento furono distrutti davanti a decine di migliaia di persone; tanti altri videro le immagini in diretta tv. Il progetto per la realizzazione degli ecomostri - costruiti dalle imprese Matarrese, Andidero e Quistelli - nacque negli anni Ottanta con tutte le carte in regola: concessioni edilizie e autorizzazioni di Comune e Regione. Che Punta Perotti non fosse abusivo lo stabilì anche la Cassazione nell'ottobre '97, quando restituì ai proprietari gli immobili che erano stati sequestrati.

La magistratura barese, due anni dopo, assolse otto persone tra costruttori e progettisti, sancendo che tutte le carte erano in regola, ma dispose la confisca del complesso per varie violazioni ambientali. Tale provvedimento, confermato dalla Cassazione nel 2001, insieme con l'assoluzione degli otto imputati per aver agito in buona fede, fu alla base delle procedure per l'abbattimento. Il 20 gennaio 2009 la Corte europea dei diritti dell'uomo (Cedu) ha ritenuto la confisca dei suoli una sanzione arbitraria e condannò l'Italia per violazione dell'art.7 della Convenzione dei diritti, ritenendo che la confisca illegale costituisse un'ingerenza nel legittimo diritto dei ricorrenti di beneficiare delle loro proprietà. Oltre a riconoscere alle imprese un indennizzo di 40 mila euro ciascuna, la Corte di Strasburgo si riservò di quantificare il danno materiale da risarcire e invitò il governo italiano a cercare un accordo con i costruttori entro sei mesi.


Secondo il sindaco di Bari Michele Emiliano "questo evento comunque  non provoca al comune alcun danno: il comune era infatti divenuto proprietario di quell'area a titolo gratuito. Ma la restituzione di quei terreni è assai sgradita ai soggetti che li detenevano perché quelle aree sarebbero molto difficilmente riedificabili. Loro avrebbero proferito un risarcimento in denaro che invece la Procura di Bari ha voluto evitare". Emiliano spiega il perché la riedificazione dell'area è complicata: dovrebbe avvenire rispettando la distanza dal mare (300 m) ma alle spalle c'è la ferrovia, dunque i valori immobiliari sarebbero molto inferiori. Di qui la proposta del sindaco di siglare un accordo di programma, spostando altrove quelle cubature. "Mi accingo a scrivere alla presidenza del Consiglio dei ministri per risolvere per sempre questa partita", conclude il sindaco.

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