L'isola dei cassintegrati: una crisi che non è reality

Cronaca
Il gruppo di naufraghi che ha occupato L'Asinara in forma di protesta - Foto tratta da Facebook
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In un libro edito da Aliberti, Tino Tellini ha raccontato la protesta degli operai della Vinyls di Porto Torres che hanno deciso di occupare l'Asinara dopo la cassa integrazione disposta dall'azienda. Leggi un estratto del saggio.

di Tino Tellini

Una sera, su alcuni giornali, leggemmo che stava per iniziare L’isola dei Famosi, il programma di Simona Ventura.
Già a noi sardi la Ventura e la compagnia di Briatore non ci stavano granché simpatici. Gente che viene da noi, si fa spiagge private e robe così, una Sardegna che molti conoscono ma che non è la vera Sardegna.
Simona Ventura, L’isola dei Famosi. Per noi quello del reality era un luogo patinato, dell’opulenza e dei falsi valori. Noi, invece, eravamo lo specchio di un paese che soffriva, rappresentavamo ciò che in Italia troppo spesso si vuole tenere nascosto, la disoccupazione e il precariato.
Eravamo nella torre, piuttosto demoralizzati e assai stremati e lei che annunciava l’ennesima edizione dell’Isola dei Famosi.
Boh, era da un po’ che pensavamo all’Asinara.
«Cazzo, L’isola dei Famosi!? L’Asinara, l’Asinara è vicina».
«Ma quando cazzo inizia questa Isola dei Famosi?!»
«Inizia L’isola dei Famosi!»
«Ma perché non ce ne andiamo all’Asinara?! Cazzo, loro hanno l’isola dei famosi e noi abbiamo l’isola dei cassintegrati!»
«Ma dai… ma che dici!»
«Ma tanto qua… eddai, proviamo e andiamoci!»
«C’è la diramazione centrale del carcere a Cala d’Oliva, ci sono le celle e tutto, saliamo lì»
«Andiamo lì!»
«E cosa ci facciamo lì!?»
«E non lo so che ci facciamo lì, ma che ne so io che cosa ci facciamo! Andiamo, boh, qualcosa succederà».

Quando decidemmo di partire per l’Asinara eravamo una quindicina. Tra questi, Pietro Marongiu, Andrea Spanu, il sottoscritto e i ragazzi dell’Eurocoop, la cooperativa con il compito di insaccare la polvere bianca – il PVC – per conto del nostro stabilimento.
Ragazzi totalmente allo sbando, disuniti, ognuno per i cazzi propri ma carichi di umanità e a loro modo di genialità.
Mezzettieri, un nostro compagno da poco in pensione, ci voleva un gran bene. All’interno dell’impianto PVC aveva il compito di controllare il buon funzionamento della parte finitura e dell’insaccaggio del prodotto.
Prima di iniziare il suo giro, ogni volta si caricava sulla spalla destra diversi cartoni di acqua e li andava a portare a ogni “tupamaros” della cooperativa che lavorava in quella zona.
Così, spontaneamente. Gli insaccatori dell’Eurocoop li avevo sempre soprannominati “tupamaros” e “mescaleros” perché erano degli anarchici totali e perché ognuno andava per conto proprio. Erano un po’ come dei senza patria, che non avevano alcuna tutela e che nella scala gerarchica dei diritti del lavoro erano veramente gli ultimi.
Alla fine, erano ragazzi che, non per volontà loro ma a causa delle condizioni attuali del mercato del lavoro, vivevano senza nessuna garanzia, alla giornata, raccogliendo le briciole cadute ad altri: davvero difficile, più difficile che per noi.
Credo che si siano uniti a noi non solo perché non sapevano che cazzo fare durante la giornata, ma anche perché, già nel luogo di lavoro, si sentivano – e lo erano – parte integrante, perché erano amici, e perché si sono sempre sentiti calcolati e considerati. Sono sempre stati assieme a noi, come Gianni Nieddu, che prima venne nominato ministro della Flora e della Fauna e poi, visto che ci scarrozzava continuamente con il pulmino da Cala Reale a Cala d’Oliva, venne nominato sul campo ministro dei Trasporti. Una delle ultime sere di febbraio 2010, preparammo le scorte di viveri e il resto delle cose che ci sarebbero servite.

Quella stessa sera, precisamente alle undici e mezza, mi chiamò Pietro Marongiu per dirmi che mancavano le spianate, cioè il pane. Ma le spianate ci vogliono, come si fa senza spianate? «Pietro, ma a quest’ora dove cazzo lo trovo del pane?!» Litigammo per le spianate ma, in proposito, non concludemmo nulla, rinviando tutto alla mattina seguente. E ci ritrovammo alle otto al molo da cui salpa la Sara D, l’unico battello che collega Porto Torres a Cala Reale, un piccolo villaggio dell’Asinara.
La barca era capitanata da Giuseppe Carannante, un napoletano sessantenne di Monte di Procida, che aveva il volto inciso da duemila anni di dominazione straniera, memoria che lo aveva fatto diventare un maestro nell’arte di arrangiarsi. Carannante, appena ci vide e come gli spiegammo che stavamo andando a occupare l’Asinara, capì che aveva a che fare con degli uomini determinati.
«A disposizione!» furono le prime parole che ci disse. Assieme all’armatore maddalenino Franco del Giudice, fu sempre lui a garantirci il viavai da Porto Torres all’isola, con orari a dir poco flessibili in funzione delle nostre esigenze. Quella mattina faceva freddo, anche se la giornata non era brutta. Partimmo con molti viveri, per la maggior parte quelli che ci avevano fornito qualche giorno prima Enzo e i suoi compagni di Banari, un paese dell’entroterra: pasta, formaggio, vino, mirto, pomodori, cose di prima necessità, ma il pane non c’era. Sacchi a pelo, coperte, cuffie, giacche a vento, vestiti molto pesanti. Sembravamo dei profughi. Anzi, lo eravamo.

Profughi del lavoro, seguiti da una troupe del Tg3 regionale.
Se ripenso a quel giorno, non so perché ma la prima immagine che mi viene in mente è Paolo Torru, operaio delle ditte esterne che, camminando a passo svelto davanti a me – indossava una giacca a vento azzurra a strisce bianche –, pieno di buste e bustoni salì sulla nave. Ci imbarcammo alle otto e mezza del mattino del 26 febbraio 2010, dopo una litigata con il bigliettaio perché voleva farci pagare il biglietto.
L’equipaggio della Sara D era composto da poche persone, fataliste e sarcastiche come tutti i marinai. Erano uomini dai modi bruschi, che guardavano con perplessità alla nostra iniziativa. La cosa che saltava più agli occhi di quella ciurma era l’equipaggiamento: indossavano una larghissima tuta arancione fosforescente che li faceva sembrare degli astronauti dell’Anas.
Noi, comunque, non è che ci potessimo vantare. In fondo non eravamo altro che dei naufraghi cassintegrati, i primi della storia.
© 2010 Aliberti editore. Tutti i diritti riservati

Tratto da Tino Tellini, L'isola dei cassintegrati, Aliberti editore, pp.156, euro 13

Argentino Tellini, detto Tino, è nato nel 1961 a Sassari. È entrato alla Vinyls nel 1989 come perito industriale dopo essersi diplomato con sessanta/sessantesimi presso l’istituto tecnico industriale G.M. Angioy di Sassari. Divoratore di filosofia e saggistica, iniziata la militanza politica, è diventato consigliere comunale del Comune di Porto Torres per le liste di Rifondazione comunista. Nel 1997 è assessore al Turismo e spettacolo, nel 1998 presidente del Consiglio comunale e, infine, nel 2005 viene nominato assessore alle Attività produttive. Attualmente, in qualità di ministro degli Esteri, è uno dei leader dell’isola dei cassintegrati.

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