Gay pride a Napoli, tutti in piazza con la storia

Cronaca
Un'immagine del Pride a Napoli del 1996 - Foto Ap
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Da isola felice dell'omosessualità europea nell'800, all'attualità di crescente omofobia. Proprio qui il movimento LGBT cercherà di trovare la sintesi tra tradizione di solidarietà e affermazione di nuovi diritti

di David Saltuari

Il Gay Pride nazionale ritorna a Napoli dopo sedici anni dalla prima edizione e a tredici anni dal suo ultimo passaggio partenopeo. Era il 1996 quando - in un'Italia che stava iniziando solo allora ad accorgersi delle tematiche omosessuali, con notevole ritardo rispetto all'Europa - Antonio Bassolino, con tanto di fascia tricolore, dava accoglienza ufficiale alla comunità LGBT italiana.
Rispetto ad allora quest'anno ci saranno molte più persone a sfilare per le strade (e probabilmente anche molti più eterosessuali) e il movimento è oggi più consapevole e maturo nel rivendicare i proprio diritti. Non a caso lo slogan di quest'anno è un orgoglioso "Alla luce del sole".
Intorno però il movimento si troverà un paese in cui gli attacchi omofobi e contro i trans sono in drammatico aumento, come se l'accresciuta maturità del mondo omosessuale lo avesse reso un soggetto più temuto e dunque più attaccato.

Paolo Patanè, fresco presidente nazionale dell'Arcigay che rispetto al primo Pride del 1994 riconosce che "oggi il costume è cambiato, c'è maggiore visibilità, una maggiore vitalità delle associazioni, i temi sono usciti fuori e gli argomenti sono più discussi, ma c'è anche più frustrazione di fronte a una classe politica che in trent'anni non ha smentito se stessa nel negare diritti che in quasi ogni paese d'Europa ormai vengono riconosciuti".

Tornare dunque a Napoli ha oggi una particolare importanza, perché la città partenopea ha da sempre rappresentato un luogo particolare nell'immaginario omosessuale. Smentendo infatti un luogo comune che vuole un Nord sempre più "aperto ed europeo", il capoluogo campano vanta da sempre una particolare ospitalità verso la comunità omosessuale.
Ai tempi dell'Unità d'Italia si rinunciò a estendere al meridione le leggi omofobe del Regno sabaudo, riconoscendo al Sud, e a Napoli in particolare, una sorta di "eccezione culturale".
A Napoli il femminiello, travestito o trans, era una figura socialmente inserita nella vita dei quartieri e partecipava a tutti i riti sociali. Una realtà ormai scomparsa e destinata a diventare un luogo comune. "Il terremoto del 1980 ha distrutto buona parte del tessuto sociale di quartieri popolari e molte cose sono cambiate in città" racconta Luca Mercogliano, storico blogger partenopeo e tra le voci più attive in rete della comunità gay napoletana: "in un certo senso oggi la città si sta globalizzando" spiega "portandosi dietro anche i peggiori aspetti delle altre realtà urbane".

"Stiamo regredendo" racconta Loredana Rossi, vice presidente associazione transessuale Napoli, "e la politica non aiuta certo". E se una volta i trans a Napoli si potevano sentire al sicuro, oggi succede che "ragazzini di 16 o 18 anni sui motorini, di notte, vadano ad aggredire e accoltellare i trans per divertimento". Ma se "la politica parla di noi sempre e solo in termini di degrado da eliminare alla fine si legittimano gli attacchi nei nostri confronti".

Il sud italiano rischia così di perdere un primato quasi unico al mondo per mostrare gli stessi atteggiamenti di tante periferie del settentrione. Spiega ancora Patanè: "Forse la modernità ha scardinato dei meccanismi culturali facendoci fare un passo indietro. La geografia della discriminazione oggi è cambiata diventando a macchia di leopardo e non si può più identificare una zona più aperta rispetto all'altra. Se esiste ancora una differenza tra nord e sud, è che al sud persiste ancora un'omofobia di natura antropologica, mentre al nord temo stia avanzando un'omofobia di natura ideologica."

Eppure qualcosa dell'antico mito della Napoli tollerante è sopravvissuto, se Andrea Canavesio, direttore artistico di questo Pride arrivato a Napoli dalla rossa Toscana ha una visione completamente opposta. A Napoli, racconta, ha trovato "una città molto aperta, sia nella sua popolazione che nelle sue manifestazioni. Mi ricorda molto la Firenze degli anni ottanta. Non tutti se lo ricordano, ma a Firenze venne aperto il primo locale gay d'Italia, trent'anni fa lì c'era un ambiente pieno di vita e di fermento. Lì sta scomparendo, l'ho ritrovato qui a Napoli". 

Anche Giordana Curati, in rappresentanza dell'Arcilesbica partenopea definisce la situazione napoletana "in crescita. La comunità LGBT oggi è più forte rispetto a una volta, urla più forte le proprie rivendicazioni, spaventa anche di più le parti più retrograde della società". Per le lesbiche la modernità ha significato l'arrivo a Napoli del femminismo. Le donne omosessuali nella tradizione dei femminielli non hanno miti di riferimento e la loro lotta è potuta iniziare solo oggi.

Il ritorno a Napoli del Gay Pride, ora che ha raggiunto quasi la maggiore età, diventa così il giocare su un'antica dicotomia tra tradizioni di tolleranza e aspirazioni verso nuovi diritti, che però faticano a trovare un ancoraggio in un tessuto sociale che spesso si mostra ostile. La sfida di questo Pride diventa la capacità del movimento LGBT italiano di recuperare alcune peculiarità della cultura mediterranea e partenopea. E di trovare i modi per coniugarle nella nuova realtà oltre a chiedere nuovi diritti.

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