Evento a Cagliari, focus su conflitto e post pandemia
di Maria Grazia Marilotti
Donne di pace per un 8 Marzo nel segno della riflessione e della solidarietà. Trenta rappresentanti del mondo delle professioni si sono riunite alla Mediateca del Mediterraneo di Cagliari per l'evento "Pensieri e parole delle donne sul mondo che cambia". Un'iniziativa del Comune affidata a Giulia Giornaliste Sardegna in occasione della Giornata internazionale della donna. "Inevitabile il focus su post pandemia e guerra in Ucraina, contesti di grande sofferenza nei quali le donne sono protagoniste": Susi Ronchi, fondatrice di Giulia nell'Isola, apre con queste parole il dibattito incentrato su questioni cruciali come giustizia, diritti, metaverso, istruzione ma anche uso delle nuove tecnologie digitali e le nuove frontiere del lavoro.
"Giulia Giornaliste - spiega - propone un confronto sui linguaggi dell'informazione, irrinunciabili strumenti di orientamento per navigare nella complessità di questo nuovo mondo". E l'informazione gioca un ruolo chiave. "Si può essere testimoni di pace raccontando la guerra - sottolinea Incoronata Bocca, vice capo redattrice della Tgr Rai Sardegna - Questo è il valore di militanza civica della professione giornalistica. Sono numerose le inviate al fronte in questa crisi Ucraina: per la Rai sono partite tante colleghe che con il loro lavoro operano per la pace e a rischio della propria vita fanno conoscere al mondo la crudeltà della guerra. Dovrebbe inquietare chiunque il ritiro dell'informazione libera dalla Russia dopo l'introduzione di provvedimenti contro la libertà di stampa, con pene fino a 15 anni di reclusione. In questo modo si rinuncia al racconto della tragedia, parlerà solo la voce di regime, e si lascia spazio al proliferare delle fake news".
Delegata ai diritti civili dei giovani democratici della Sardegna, Sara Piu ha preso parte a Strasburgo a un'assemblea studentesca per il futuro dell'Europa. "Vista la situazione in Ucraina, ho ricordato - racconta - la Convenzione di Dublino per l'asilo ai rifugiati. È necessario che l'Europa si adoperi per creare i corridoi umanitari per i civili ucraini in fuga dal conflitto". Anche la cultura fa la sua parte ma con la guerra la mobilità di studenti e studentesse è fortemente a rischio. "La 'generazione Erasmus' - argomenta Valentina Cuzzocrea, docente di Sociologia all'Università di Cagliari - si era ormai abituata a viaggiare, confrontarsi all'interno di un grande spazio europeo, dove la guerra sembrava uno sbaglio del passato. I giovani e le giovani di oggi hanno già sperimentato impensabili restrizioni durante la pandemia, che hanno compresso capacità, talenti e inclinazioni. Ora che emergono nuove, urgenti necessità legate alla sopravvivenza, la padronanza delle nuove tecnologie e dei social media potrebbe rivelarsi nel quotidiano uno strumento prezioso per creare piccoli ponti anche laddove quelli più grandi sono stati distrutti".
Nelle parole di Maria Dolores Picciau, assessora alla Cultura del Comune di Cagliari, gli esempi di tante donne che hanno condannato la violenza a tutti i livelli: "Non dimentichiamo anche quante hanno contribuito in silenzio a educare i figli ai valori fondamentali della società, così come tante che negli anni torbidi del nazifascismo hanno partecipato alla resistenza attiva nei confronti dei regimi e delle guerre".
Un passaggio ripreso da Marta Galinanes, presidente del Comitato Unico di Garanzia dell'Università di Sassari: "Gli uomini fanno la guerra; le donne vivono le conseguenze. Ma vivere le conseguenze non significa essere una vittima passiva.
Oggi le donne sono attivamente coinvolte in molti conflitti armati, in modi diversi: donne che prendono le armi, donne che continuano a fare il proprio lavoro, donne che, come nel conflitto ucraino, sono costrette a salutare i loro mariti, fratelli, figli. Le donne sentono il dolore, resistono alla sofferenza e, in molti casi, sono costrette a reinventarsi, a perdere la loro identità per assumerne una nuova, segnata dalla guerra. La mia speranza è che si arrivi a vedere le donne nel loro insieme e non solo come vittime". Il pensiero, conclude Susi Ronchi, "non può che andare alle donne della resistenza, in difesa della libertà e della pace". Con un auspicio: "La storia non può cancellarle dal suo racconto ufficiale".