Bancarotta da 155 mln con 5 società, 4 arresti e 10 indagati

Sardegna

Operazione della Guardia di finanza di Cagliari

Sono accusati di aver provocato la bancarotta di cinque società per un ammontare di circa 155 milioni di euro, uno dei crac più importante della storia della Sardegna. Questa mattina i militari della Guardia di finanza di Cagliari hanno arrestato quattro imprenditori, già coinvolti 7 anni fa nel fallimento del Policlinico Città di Quartu.

In carcere, su ordinanza di custodia cautelare emessa dalla gip Lucia Perra, su richiesta del pm Giangiacomo Pilia, sono finiti Carlo Uda, 64 anni (nel 2017 in primo grado era stato già condannato per il fallimento del Policlinico Città di Quartu) e Roberto Paoni. Ai domiciliari Paolo Pomata e Isabella Ongarelli, che secondo quanto accertato dalle Fiamme gialle erano gli amministratori delle cinque società.

Dieci le persone indagate, tra queste anche Antonio Macciotta che per il crac del Policlinico Città di Quartu aveva patteggiato 3 anni. Gli indagati sono accusati di aver portato al fallimento le cinque società sarde operanti nel settore dell'edilizia, dei servizi alberghieri e delle case di cura: Icnos, Laura immobiliare srl, Santa Chiara resort, GipFin, Sant'Elia di Nuxis srl.

SVIATI 6,5 MLN DA SOCIETA' FALLITE - Bancarotta fraudolenta per distrazione, dissipazione e preferenziale. Sono le accuse contestate dai militari del Nucleo di polizia economica e finanziaria della Guardia di finanza ai dieci indagati nell'ambito dell'operazione "Ghost", che questa mattina ha fatto finire in manette quattro imprenditori (due in carcere e due ai domiciliari). Le indagini delle Fiamme gialle sono partite circa due anni fa. I militari hanno approfondito le vicissitudini che hanno portato al fallimento delle cinque società che avrebbero fatto parte di un unico gruppo societario 'fantasma' composto complessivamente da 14 soci.

Al vertice ci sarebbe stato Carlo Uda, che formalmente non ha mai ricoperto ruoli di amministratore. Secondo gli investigatori, l'imprenditore avrebbe usato dei prestanome - nove quelli già individuati dai militari - per gestire le imprese poi fallite in modo da non correre pericoli personali. Attraverso una serie di operazioni, come la cessione di immobili a prezzi superiori a quelli di mercato, omissione di pagamenti fiscali e contributivi e falsificando i dati dei bilanci delle società, l'imprenditore, con la complicità degli altri indagati, sarebbe riuscito a distrarre 6,5 milioni di euro dalle disponibilità finanziarie delle cinque società fallite. Il denaro sarebbe stato usato da Uda anche per pagarsi compensi come consulente.
   

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