Lo svela lo studio di un linguista, "traduzione ora corrisponde"
di Stefano Ambu
Le frasi sul vaso di Dueno, considerato il documento più antico della storia romana, sono scritte in sardo e non in latino. È la tesi del linguista Bartolomeo Porcheddu, docente a contratto di Laboratorio di lingua sarda all'Università di Cagliari, pubblicata in un libro intitolato "Il vaso di Dueno". Per l'esperto di Ossi (Sassari), si tratta di un'altra prova della sua teoria più generale, secondo la quale non è il sardo che nasce dal latino. Ma il contrario. "Prima di me - spiega all'ANSA Porcheddu - questo documento è stato analizzato e studiato. Ma sempre dando per scontato che il testo fosse in latino. Si andavano a cercare in quelle frasi i casi latini che invece non ci sono. Io l'ho tradotto in sardo e il risultato è stato incredibile: è completamente diverso dalla traduzione precedente. E non ci sono più i problemi che hanno caratterizzato gli studi sul documento: la traduzione ora corrisponde perfettamente al testo".
Ma perché un vaso romano del 600 a.C. era stato scritto in sardo? "Perché il sardo - precisa l'esperto - per anni è stata la lingua internazionale del Mediterraneo. Nel 600 a.C. siamo in una fase di declino della civiltà nuragica, ma l'influenza della lingua è ancora fortissima. Il latino che poi sarà utilizzato verrà costruito a tavolino proprio sulla base del sardo, lingua alla quale saranno applicati i casi greci". "Nessuno se ne è accorto per duemila anni, perché nessuno si è soffermato sullo studio comparato tra latino e sardo", sottolinea ancora il docente.
Il vaso di Dueno nasce a Roma durante il periodo degli ultimi re, un periodo caratterizzato dalla forte influenza etrusca. Ora, dopo essere stato ritrovato da Heinrich Dressel, nel 1880, in un deposito votivo al Quirinale a Roma, è al museo di Stato di Berlino. Nel testo abbondano le spiegazioni tecniche. Ad esempio sulla mancata concordanza dei casi. "Alla risoluzione di questo dilemma c'è una spiegazione - svela Porcheddu - il vaso di Dueno è stato prodotto prima che i Romani trasformassero la loro lingua sardo-latina in lingua 'latina comune' inserendo i 'casi' greci nei morfemi nominali.
Per questo i 'casi' non compaiono nella scrittura del vaso e la struttura delle proposizioni è quella del sardo attuale, che esce nei sostantivi solo con il genere e il numero, senza i 'casi' di provenienza greca". E quell'"ite" dell'iscrizione ha senso, dice lo studioso, solo se tradotto come 'che cosa' alla maniera del sardo "ite cheres", che cosa vuoi. La nuova traduzione sarebbe dunque questa: "Giove/Saturno divi ai quali io stessa sto promettendo, donando questa mia cosa affinché (ella) sia vestale. Ascoltate noi Giove - chiedo qualcosa - (che ripagheremo) saremo grati a voi. Lì, ci fa lo stesso in mano mia (secondo la mia volontà) Lì, No[m...] in E[...] lo stesso [fa] con mallo (spatola), (con buona soddisfazione)".