Tria, senza accordo la Regione deve pagare 536 milioni
di Roberto Murgia
L'intesa col Governo sul contributo della Sardegna alla finanza pubblica non sembra dietro l'angolo. Come previsto nella legge di stabilità nazionale, Stato e Regione avrebbero dovuto raggiungerla il 31 gennaio. Ma la lettera con cui il ministro dell'Economia Giovanni Tria ricorda la definizione di un accordo entro quel termine è arrivata negli uffici dell'Assessorato regionale al Bilancio solo ieri, 5 febbraio. Il documento non contiene alcuna proposta, né una richiesta ufficiale di incontro, e nemmeno un riferimento alla sentenza dell'11 gennaio scorso con cui la Corte Costituzionale invita il Governo a trovare un accordo equo in termini di accantonamenti senza esercitare "principi tiranni" per la necessità di salvaguardare le casse nazionali. Gli accantonamenti non sono altro che il contributo che ogni Regione deve dare al risanamento del debito pubblico nazionale.
La Consulta ha più volte ribadito che, nel caso delle Regioni a statuto speciale, le quote devono essere stabilite sulla base di intese politiche Stato-Regione. La vertenza con la Sardegna è nata nel 2017, cioè alla scadenza dell'accordo triennale sulla finanza pubblica siglato con il governo Renzi nel luglio del 2014. Il problema è che nelle successive leggi di stabilità, i governi hanno continuato a comprendere, aumentandole negli anni (684 i milioni chiesti nel 2016, passati a 781,7 nel 2017 e a 848,4 nel 2018) le quote della Sardegna come se quell'accordo fosse ancora in piedi. Risultato: la Giunta guidata da Francesco Pigliaru ha impugnato le finanziarie del 2016, 2017 e 2018. Se nei primi due giudizi la Corte ha solo ribadito la necessità che l'ammontare degli accantonamenti fosse concordato, nell'ultimo, con sentenza dell'11 gennaio, è andata ben oltre. Invitando, in pratica, il Governo a restituire i 285 milioni prelevati alla Sardegna nel 2018 perché non dovuti.
Nel frattempo, negli ultimi due anni, la Regione ha cercato un'intesa. Nel 2017 incontrò a marzo gli allora sottosegretari agli Affari regionali e alla presidenza del Consiglio, Bressa e Boschi, e a novembre lo stesso ex premier Gentiloni. Ma le trattative non sortirono alcun effetto positivo. Come, del resto, quelle intavolate con l'attuale governo Conte. Dopo un primo vertice a Roma, infatti, la Regione non è stata più convocata e ha inviato ben otto lettere al governo senza ottenere alcuna risposta. Fino a quella fuori tempo massimo di oggi.
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