Medaglia d'onore a sopravvissuto a lager

Sardegna
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Cerimonia in prefettura a Cagliari, presenta anche la moglie

"Mio zio era un eroe, ha negato la collaborazione al regime nazifascista e ha contribuito al pari di 650 mila militari italiani ad abbatterlo. È una pagina poco conosciuta, per questo la giornata di oggi è particolarmente significativa". Sono un monito a non dimenticare le parole di Corrado Cabras, nipote di Beniamino Carcangiu, carabiniere nel Triveneto, deportato e internato l'1 ottobre 1943 in Germania in un campo nazista per prigionieri di guerra.

Parole che risuonano nella sala consiliare del Palazzo Regio di Cagliari gremita di giovani e autorità civili, militari, religiose per la cerimonia commemorativa del Giorno della Memoria. Presenti la prefetta Romilda Tafuri, il presidente della Regione Francesco Pigliaru, il comandante della Legione Carabinieri Sardegna Giovanni Truglio, la vice sindaca di Cagliari Luisa Anna Marras, il neo deputato Andrea Frailis e l'arcivescovo Arrigo Miglio.

E' stato il nipote a ritirare la medaglia d'onore conferita allo zio. "Costretto al lavoro coatto in uno Stammlager, una acciaieria a 20 chilometri da Dortmund, per lui sono stati due anni di umiliazioni e durissime privazioni e torture fisiche - racconta Cabras all'ANSA - Era restio a raccontare ma una volta ci parlò dello strazio e della sofferenza quando era costretto a prendere i corpi dei suoi amici commilitoni che morivano di stenti o venivano fucilati per poi gettarli nelle fosse comuni come ulteriore forma di fine tortura psicologica".

Beniamino Carcangiu è uscito vivo da quell'orrore grazie alla sua astuzia. "Il giorno prima della fucilazione - svela Corrado - si costruì un punteruolo che riuscì a passare ai controlli per poi scalzare le assi di legno del capanno". Presente alla cerimonia anche la moglie di Beniamino. Un evento solenne, aperto con l'inno di Mameli e proseguita con Non potho reposare.

In prima fila i giovani. "A loro oggi abbiamo riservato lo scranno più alto - chiarisce la prefetta Tafuri - perché a loro va il compito di conservare la memoria e trasmetterla a loro volta alle nuove generazioni. Ogni volta che un giovane in visita a un lager sentirà un pugno nello stomaco, allora la nostra missione è compiuta"
   

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