Cosa dice il report dell’Agenzia europea dell’Ambiente sull’Italia

Nonostante l’Europa sia il continente con le più avanzate politiche ambientali, lo stato di salute del territorio non è buono. Il giudizio è espresso nell’ultimo Europe’s Environment 2025, il rapporto che ogni cinque anni l’Agenzia europea dell’Ambiente redige per monitorare il raggiungimento degli obiettivi prefissati nel Green deal sottoscritto dai Paesi dell’Unione. Due su trentacinque Dei trentacinque target indicati nel piano - alcuni con precisi obiettivi quantificabili, altri sono solo indicazioni di tendenze - solo per due siamo in linea con quel che dovremmo fare entro il 2030. Sono, infatti, stati compiuti fino a oggi progressi significativi nella riduzione delle emissioni di gas serra e delle sostanze che riducono lo strato di ozono. Per gli altri 33 obiettivi o siamo in ritardo o stiamo addirittura percorrendo la strada nella direzione sbagliata. Soprattutto per quanto riguarda la natura, che continua a subire degrado, sfruttamento eccessivo e perdita di biodiversità. Anche gli impatti dell'accelerazione dei cambiamenti climatici rappresentano una sfida che si fa sempre più urgente. L’Italia, rispetto alla media Ue, ha un vantaggio su almeno tre obiettivi e un ritardo, clamoroso purtroppo, su altri due. Vediamo il meglio e il peggio dello stato dell’ambiente nel Belpaese. Eccellenza bio italiana A livello continentale, l'Italia vanta una delle quote più elevate di superficie agricola biologica. Al 31 dicembre 2023, la superficie destinata alla produzione biologica in Italia ammontava a quasi 2,46 milioni di ettari, con una crescita di oltre il 100 per cento rispetto al 2012 e del 4,5% rispetto all'anno precedente. La quota di superficie certificata biologica sulla superficie agricola utilizzabile totale è del 18,1%, il doppio della media europea. Sulla base di questi dati, è ragionevole prevedere che raggiungeremo l’obiettivo della strategia Ue entro il 2030. Uso circolare dei materiali Un altro target che dovremmo raggiungere nei prossimi cinque anni è quello relativo al tasso di circolarità, un indicatore che misura il contributo dei materiali riciclati all'uso complessivo dei materiali e che l’Unione europea si è impegnata a portare al 22,5 per cento. Il tasso di circolarità italiano è cresciuto di circa 2 punti percentuali tra il 2018 e il 2023, anno in cui si è attestato al 20,8%. Ancora un piccolo sforzo per l’uso circolare dei materiali e siamo in target. Lascia qualche dubbio il rallentamento registrato nei dati a partire dal 2020, anno da cui sono stati guadagnati solo 0,2 punti percentuali. Ma a rinvigorire la crescita e raggiungere gli obiettivi futuri dovrebbe contribuire il Decreto Legge emanato nel 2024 che mira a ridurre la dipendenza dalle importazioni di materie prime critiche, promuovendo proprio il riciclo e il riutilizzo dei materiali già presenti sul territorio nazionale. Risparmio energetico Facciamo meglio dei nostri vicini anche per quel che riguarda il consumo di energia. In questo caso il parametro è indicizzato al valore del 2005, e l’obiettivo comunitario prevede di ridurre i consumi di 24,2 punti percentuali. In realtà l’obiettivo è stato raggiunto nel 2020, ma era anno pandemico e il calo dei consumi è coinciso col calo delle attività produttive e commerciali durante i lock down. A fine 2023 la riduzione si era assestata a quasi 20 punti percentuali. Anche se siamo vicini al target e in grande vantaggio rispetto alla media Ue, l’Agenzia europea dell’Ambiente ammonisce che il passo attuale non è sufficiente. L’Italia dovrà attivare ulteriori politiche e misure, “soprattutto nei settori civile e dei trasporti” come recita il rapporto, per ridurre i consumi energetici come richiesto. Sommersi dai rifiuti Venendo alle dolenti note, il nostro Paese non sta seguendo la direzione giusta per la produzione totale di rifiuti pro capite. A questo parametro non è assegnato un obiettivo preciso, viene solo richiesto di ridurre significativamente il valore di riferimento del 2010. Però, dopo un’iniziale diminuzione, dal 2014 la quantità di rifiuti pro capite in Italia è addirittura cresciuta. Nemmeno l’anno della pandemia ha visto la quantità di scarti urbani e industriali diminuire. Anche altrove nell’Unione le cose non vanno bene da questo punto di vista. In media dal 2010 al 2023 la diminuzione è stata solo di 0,5 punti percentuali. Il conto salato della crisi climatica A causa della sua morfologia territoriale e della sua posizione geografica in Europa, l'Italia è ben sopra la media Ue anche per quanto concerne i costi economici della crisi ambientale. L'instabilità geologica ci rende più esposti ad alluvioni, la posizione nel Meditarraneo causa ondate di calore e siccità, i ghiacciai alpini si sciolgono rapidamente e le aree urbanizzate italiane sono considerate veri e propri hot spot climatici a causa del complesso sistema di cementificazione che le caratterizza. Tra il 1990 e il 2023, gli eventi estremi legati al clima hanno causato perdite economiche per 1,2 miliardi di euro. Nel 2023, anno peggiore della serie storica, i fenomeni meteorologici estremi sono costati a ogni cittadino 115 euro, quasi il doppio di quanto hanno dovuto sborsare i media gli altri europei. Dato che in futuro è previsto un aumento della frequenza dei cataclismi, è decisamente improbabile che le perdite economiche associate diminuiscano entro il 2030.

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Gabriele De Palma