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Latte scaduto trasformato in “plastica”, l’alternativa sostenibile di una startup di Roma

Ambiente

Federica De Lillis

SPlastica è il progetto di Emanuela Gatto e Raffaella Lettieri, nato in un laboratorio dell’università Tor Vergata, per cercare di risolvere due problemi: lo spreco alimentare e l’inquinamento da plastica

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“L’idea è nata dalla volontà di provare a risolvere due problemi ambientali che abbiamo in questo momento. Il primo è l’inquinamento da plastica” spiega Emanuela Gatto, CEO di SPlastica“La plastica certamente è un materiale eccezionale che ha rivoluzionato la nostra società, però, la stiamo usando in maniera sbagliata perché ne produciamo quantità enormi, in particolare 400 milioni di tonnellate e di queste ogni anno circa 300 milioni di tonnellate vengono scartati come rifiuti. Spesso vengono riversati nell’ambiente, e si stima che circa 8 milioni di tonnellate di plastica vadano a finire nei nostri mari ogni anno. Inoltre, la nostra società ha tantissimi scarti organici, per cui la nostra idea è stata quella di utilizzare proprio questi scarti alimentari come punto di partenza per poter realizzare dei materiali che siano sostenibili ambientalmente”.

Si parte dagli scarti

“Abbiamo deciso di utilizzare come materia prima per il nostro materiale il latte perché in Italia abbiamo il problema dello scarto di latte: ne produciamo circa ogni anno 12 milioni di tonnellate però il 2-4% di questo viene sprecato perché il latte purtroppo scade, ha un tempo di vita breve e quindi una volta scaduto deve essere smaltito come un rifiuto”.

Un materiale alternativo ed ecosostenibile

Come spiega la responsabile di laboratorio Raffaella Lettieri: “SPlastica produce un materiale che è una bioplastica dura biodegradabile e compostabile. È biodegradabile sia nel suolo sia in ambiente marino. Questo significa che se inavvertitamente dovesse finire in acqua di mare il prodotto si decomporrebbe in sostanze più semplici senza rappresentare un problema per la fauna e la flora marine. Inoltre, è compostabile, potrebbe quindi rappresentare una nuova materia in grado di far crescere nuove piante nutrendo il suolo!”. Tutte caratteristiche che, precisa Gatto, sono state raggiunte in anni di test e tentativi più o meno riusciti. “Abbiamo realizzato i primi prototipi nel 2018 e devo dire che inizialmente erano un po’ bruttini dal punto di vista estetico, poi abbiamo perfezionato la formulazione e alla fine siamo arrivati a realizzare dei portachiavi a forma di foglia realizzata proprio a partire da questo materiale innovativo”. Per le scienziate il punto di svolta affinché le aziende si interessassero al loro prodotto è stato il passaggio alla produzione di granuli. Con questa forma la SPlastica può “essere caricata sulle macchine industriali che trasformano le materie plastiche e poter produrre poi qualunque tipo di oggetto”.

SPlastica

Il futuro di SPlastica

Il materiale che Gatto e Lettieri hanno sviluppato, insieme a tutti i ricercatori che lavorano al progetto, è “pronto per essere sul mercato in quanto abbiamo ottenuto un prodotto che dal punto di vista tecnologico è molto sviluppato”. Non solo, “ha tutte le caratteristiche che sono previste dalla normativa europea per gli articoli monouso”. Nonostate questo, continua la dottoressa Gatto, “ancora non la troviamo sugli scaffali dei supermercati perché la nostra capacità produttiva attuale è molto limitata”. In attesa di ampliare il loro laboratorio, le fondatrici di SPlastica continuano ad accogliere nuovi studenti e nuove studentesse, che con le loro idee stanno contribuendo all’avanzamento del progetto in nome della volontà di trovare alternative sostenibili. Come Alice Caravella, studentessa di dottorato del Dipartimento di Scienze e Tecnologie chimiche di Tor Vergata. “SPlastica cerca di non mettere sul mercato un prodotto ponendosi dopo il problema della sostenibilità ambientale ma ponendoselo prima. Completa questo pezzo che finora [da parte delle aziende] non c’è stato”.

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