La Storia del referendum antinucleare in Italia del 1987

Ambiente

L’8 e il 9 novembre 1987 il popolo italiano si recò alle urne per votare 5 referendum abrogativi. Tre di essi riguardavano la situazione del nucleare in Italia

Il giorno in cui gli italiani furono invitati ad esprimersi nel nostro Paese si contavano quattro centrali elettronucleari: la centrale di Latina, da 210 MWe con reattore Magnox, attiva commercialmente dal 1964; la centrale Garigliano di Sessa Aurunca (CE), da 160 MWe con reattore nucleare ad acqua bollente (BWR). Attiva commercialmente dal 1964, è l’unica tra queste che era già stata spenta prima del referendum. Fermata per manutenzione nel 1978, si optò per la disattivazione nel 1982; la centrale Enrico Fermi di Trino (VC), da 270 MWe con reattore nucleare ad acqua pressurizzata (PWR), attiva commercialmente dal 1965; la centrale di Caorso (PC), da 860 MWe con reattore BWR, attiva commercialmente dal 1981, l’unica delle quattro ad essere di seconda generazione. Un forte impulso verso il nucleare si ebbe a inizio degli anni ’70 a causa del repentino aumento dei prezzi di importazione dei prodotti petroliferi dovuti alla questione arabo-israeliana. Per questo motivo il PEN – Piano Energetico Nazionale – datato 1975 “prevedeva la realizzazione di ulteriori otto unità nucleari su quattro nuovi siti”.

I quesiti del referendum

Nessuno dei 5 quesiti del referendum abrogativo aveva direttamente come oggetto l’abbandono del nucleare in Italia. Il quesito 3 riguardò l’abrogazione della facoltà del CIPE (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) di deliberare sulla localizzazione delle centrali qualora gli enti locali interessati non avessero raggiunto un accordo a riguardo. Il sì vinse con l’80,57%. Il quesito 4 chiese l’abrogazione dei contributi agli enti locali che ospitassero sul proprio territorio centrali nucleari o a carbone. Il sì vinse con il 79,71%. Il quesito 5 riguardò l’esclusione dell’Enel, all’epoca ancora ente pubblico, dalla partecipazione alla costruzione di centrali nucleari all’estero. Anche in questo caso il sì vinse, con il 71,86%. Votarono complessivamente circa 29,9 milioni di italiani. Il quorum fu raggiunto con un’affluenza alle urne del 65,1% sui circa 45,8 milioni di aventi diritto al voto. I dati sul referendum sono disponibili allo storico elezioni del Dipartimento per gli Affari Interni e il Territorio.

L’incidente di Three Miles Island

A segnare l’inizio del declino del nucleare in Italia furono due gravissimi eventi. Il 28 marzo 1979 avvenne l’incidente di Three Miles Island: la fusione parziale del nocciolo dell’omonima centrale nucleare, in Pennsylvania. Nonostante non ci siano state vittime e feriti, piccole quantità di gas radioattivo si dispersero nell’ambiente. Fu per il nucleare pessima pubblicità in molte nazioni del mondo. In Italia, la popolazione locale già stava protestando contro la costruzione della centrale di Montalto, che sarebbe iniziata nel 1982. Appena due mesi dopo l’incidente, le proteste sfociarono in una manifestazione a Roma, cui presero parte circa 20 mila persone. Il numero di iniziative antinucleari aumentò. Nel 1980, Maurizio Sacchi del PSI e Chicco Testa fondarono Lega per l’Ambiente, che poi divenne Legambiente. Il movimento fece del no al nucleare uno dei suoi punti cardine. L’incidente influì inoltre sulla decisione di non riaccendere la centrale di Garigliano e di posticipare l’inizio dell’esercizio commerciale per quella di Caorso.

Il disastro di Chernobyl

Nonostante questo, il nucleare trovò ampio spazio anche nel PEN del 1985. Il piano prevedeva la realizzazione di nuove centrali per 12 GW entro il 2000. Prioritaria la necessità di ampliare il mix energetico nazionale e ridurre la dipendenza dal petrolio importato. Il 26 aprile 1986 si verificò il disastro di Chernobyl. L’effetto negativo sull’opinione verso il nucleare fu devastante. Il mese successivo 200 mila persone si radunarono a Roma per manifestare. Il partito Radicale promosse i referendum raccogliendo un milione di firme in meno di quattro mesi. A novembre i movimenti ambientalisti si concretizzano in un soggetto politico, la Federazione delle liste Verdi.

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Le posizioni della comunità scientifica

Il 24 febbraio 1987 si tenne la prima Conferenza Nazionale sull’Energia e l’Ambiente (CNEA). Il gruppo Economia, Energia e Sviluppo della Commissione Scientifica incaricata di stilare una relazione si mostrò diviso. In generale, da una parte i fautori temevano le ripercussioni economiche, industriali e sociali che l’abbandono del nucleare avrebbe comportato. Dall’altra, gli antinuclearisti sostenevano che politiche di risparmio energetico e sviluppo delle rinnovabili avrebbero costituito un’alternativa sufficiente.

Il contesto politico

Per comprendere perché il referendum non si svolse prima della fine del 1987, bisogna partire dagli eventi politici. Nello stesso anno si stava verificando una crisi di governo interna al Pentapartito. Le divergenze tra la DC guidata da Ciriaco De Mita e il PSI di Bettino Craxi culminarono, il 28 febbraio 1987 nelle dimissioni di Craxi da capo di governo. Gli antinuclearisti temevano un intervento legislativo che bloccasse definitivamente il referendum e ne chiedevano lo svolgimento prima delle elezioni anticipate. La data del referendum fu fissata per novembre, mentre le elezioni si tennero a giugno. La DC continuò a detenere la maggioranza, con l’insediamento del governo Goria.

La vittoria del sì e le conseguenze

I fattori che portarono alla vittoria del sì furono diversi. Il sentimento popolare antinucleare era alimentato dalla paura dopo il gravissimo incidente di Chernobyl. Inoltre, dopo le elezioni, la DC e il PCI assunsero posizioni a favore del sì, temendo un calo di consensi. I quesiti 1 e 2 del referendum vinsero con percentuali uguali ai quesiti antinucleari. Essi riguardavano rispettivamente la responsabilità civile per i magistrati e il trattamento dei reati ministeriali. Sebbene non fosse esplicitamente richiesta, la dismissione delle centrali nucleari fu la conseguenza naturale che seguì il referendum. Tra il 1987 e il 1990 le centrali rimaste attive furono fermate definitivamente. I lavori avviati per la centrale di Montalto vennero invece riconvertiti per la realizzazione della centrale a policombustibile Alessandro Volta. Nel 1999 la Società Gestione Impianti Nucleari (SOGIN) acquistò la proprietà delle quattro ex-centrali, col compito di occuparsi del decommissioning. Fu il tramonto della produzione elettronucleare italiana.

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