Nell’Atlantico pesci "mutanti" sopravvivono all'inquinamento
AmbienteUn team di ricercatori americani avrebbe osservato una rapidissima capacità di adattamento da parte di alcune specie nelle acque a più alto tasso di rifiuti tossici
Alcuni pesci, i “killifish” (graziosi animali dell'ordine dei Cyprinodontiformes), sarebbero stati capaci di sviluppare delle mutazioni genetiche che avrebbero consentito loro di sopravvivere e di adattarsi alle acque inquinate. Sono queste le conclusioni di uno studio pubblicato dalla rivista “Science” e condotto da un team di ricercatori americani guidati dall’Università di Davis in California. Questi pesci, nello specifico, avrebbero mostrato cambiamenti tali nel proprio genoma da poter sopravvivere anche in acque altamente inquinate. Il campione è stato preso nell’Atlantico sulla costa Est degli Stati Uniti, e avrebbe mostrato una resistenza decisamente superiore alla norma a micidiali mix di sostanze chimiche come diossina, metalli pesanti, idrocarburi e affini.
Una moderna "selezione della specie" - I ricercatori hanno studiato l’intero genoma di 400 killifish presi da quattro estuari metropolitani: New Bedford Harbour in Massachusetts, Newark Bay in New Jersey, Bridgeport in Connecticut e l’Elizabeth River in Virginia, sito particolarmente inquinato sin dagli anni ’50. I risultati dell’analisi del Dna di questi pesci avrebbero rivelato diversi cambiamenti nel loro genoma e in particolare nell’Ahr, una proteina attivata da un gene che regola la risposta biologica agli idrocarburi. Il cambiamento dei tratti genetici avrebbe consentito ai killifish di sopravvivere alle nuove condizioni ambientali. La ragione potrebbe essere ricondotta all’alta differenziazione genetica tra i singoli esemplari: un fattore fondamentale, secondo gli scienziati, quando le condizioni ambientali cambiano drasticamente. Non sarebbe il primo caso di mutazione genetica in risposta all'azione dell'uomo. Basti pensare agli elefanti africani che nascerebbero senza zanne come risposta evolutiva al bracconaggio, come spiegato alcuni giorni fa al "Times" da Joyce Poole, co-fondatrice di "Elephant voices", organizzazione che studia il comportamento e l'evoluzione di questi animali.
La capacità di adattarsi non è la norma – Ciò che è accaduta ai killifish, però, non sarebbe la norma. Come ha spiegato all' "Independent" il professor Andrew Whitehead dell’Università di Davis, in California, uno dei membri del team di ricerca: “Qualcuno potrebbe pensare che questa capacità di adattamento sia un aspetto positivo, ma sfortunatamente la maggior parte delle specie probabilmente non sarebbe in grado di fare altrettanto perché non ha la stessa varietà genetica (dei killifish) necessaria per evolversi rapidamente”.
Dai pesci all’uomo - Il genoma dei killifish provenienti da aree inquinate è stato confrontato con quello di esemplari della stessa specie che invece arrivavano da acque pulite per permettere al team di capire come il genoma dei primi si fosse adattato alle nuove condizioni ambientali. Tuttavia, secondo i ricercatori, sarebbero necessari ulteriori studi sui geni capaci di proteggere gli esseri viventi dall’inquinamento. Nuove ricerche in questa direzione potrebbero essere allargate anche all’uomo o ad altri animali per consentire di scoprire perché alcuni sono più resistenti di altri. E quindi capaci di adattarsi meglio al cambiamento.