Ex pm in manette: “Così cercava di pilotare inchieste su tangenti Eni”

Cronaca
Foto d'archivio (Fotogramma)
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L’arresto di Giancarlo Longo e di altre 14 persone ha portato alla luce una associazione per delinquere volta a pilotare inchieste. Per l’accusa, l’ex giudice, avrebbe messo a disposizione la sua funzione in cambio di soldi per aiutare i clienti di due avvocati

Ieri, 6 febbraio, gli arresti. Ora cominciano ad emergere i particolari dell’inchiesta che ha portato in manette 15 persone con le accuse di aver creato un sistema di sentenze comprate e falsi dossier. Tra gli arrestati spicca il nome dell’ex pm di Siracusa, Giancarlo Longo. Dopo l’arresto, dalle carte viene alla luce il profilo dell’ex magistrato stilato dai giudici. Secondo cui, l’ex pm, accusato di associazione a delinquere, corruzione e falso, era uno “spregiudicato”, in grado di inquinare prove e dotato di inquietante capacità criminale. Longo è uno dei personaggi chiave di una complessa inchiesta della Procura di Messina e di quella di Roma. I magistrati avrebbero scoperto una vera e propria associazione a delinquere in cui l'ex pm avrebbe avuto un ruolo rilevante. Per anni, dicono i pm, avrebbe messo a disposizione la sua funzione giudiziale in cambio di soldi, per aiutare i clienti di due avvocati siracusani, Piero Amara e Giuseppe Calafiore. L'ex pm sarebbe anche coinvolto in quello che riguarda il cosiddetto caso Eni.

Le accuse

Stando alle accuse, l’ex pm Longo su input di Amara, legale esterno dell'Eni, avrebbe intrapreso un'indagine, priva di qualunque fondamento, su un presunto, e poi rivelatosi falso, piano di destabilizzazione della società e del suo ad Claudio Descalzi. In realtà, per gli inquirenti che hanno arrestato anche gli avvocati Amara e Calafiore, lo scopo sarebbe stato quello di intralciare l'inchiesta milanese sulle presunte tangenti nigeriane in cui Descalzi era coinvolto.

Il metodo Longo

Sempre secondo i magistrati che ne hanno chiesto l'arresto, Longo usava tre precisi metodi: la creazione di fascicoli "specchio", che il magistrato "si auto-assegnava al solo scopo di monitorare ulteriori fascicoli di indagine assegnati ad altri colleghi, legittimando così la richiesta di copia di atti altrui, o di riunione di procedimenti"; i  fascicoli "minaccia", in cui "finivano per essere iscritti - con chiara finalità concussiva - soggetti 'ostili' agli interessi di alcuni clienti di Calafiore" e fascicoli "sponda", che venivano tenuti in vita "al solo scopo di creare una mera legittimazione formale al conferimento di incarichi consulenziali (spesso, radicalmente inconducenti rispetto a quello che dovrebbe essere l'oggetto dell'indagine), il cui reale scopo era servire gli interessi dei clienti di Calafiore a Amara".

Tutto comincia nel 2016

Secondo la procura, tutto sarebbe inizio nel 2016 quando Alessandro Ferraro, anche lui tra gli arrestati e collaboratore dell’avvocato Amara, denuncia alla procura di Siracusa di essere stato vittima di un tentativo di sequestro. Longo si assegna il fascicolo dell’inchiesta e comincia a svolgere indagini con acquisizioni documentali a proposito del presunto complotto contro l'Eni e Descalzi di cui parla un personaggio citato da Ferraro, il tecnico petrolifero Massimo Gaboardi. Si tratta di indagini di dubbia utilità, secondo gli inquirenti, e a luglio 2016 Longo è costretto a mandare tutto alla procura di Milano che sull'Eni indaga per corruzione internazionale. Nonostante questo, continua a compiere atti istruttori.

Perquisito anche ex responsabile dell'ufficio legale Eni

I pubblici ministeri di Milano, che sul depistaggio indagano da mesi, nella giornata del 6 febbraio hanno perquisito l'ex responsabile dell'ufficio legale Eni fino all'ottobre 2016 e attuale 'Chief Gas & Lng Marketing and Power Officer' di Eni, indagato per associazione per delinquere finalizzata ad una serie di reati. Secondo la procura milanese, lui e l’avvocato Amara sarebbero gli organizzatori delle presunte manovre di depistaggio al fine di condizionare le inchieste milanesi Eni-Nigeria ed Eni-Algeria.

La posizione di Eni

L’Eni, dopo gli arresti, ha fatto sapere che "confida nella correttezza dell'operato del proprio management - si legge in una nota - e avvierà come in ogni altra circostanza analoga le opportune verifiche interne. Eni, non indagata, auspica che si faccia quanto prima chiarezza sui fatti oggetto di indagine".

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