Indagine Swg: 55% italiani giustifica razzismo, 65% chiude ai migranti

Cronaca
Foto d'archivio Lapresse
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È questo il risultato di uno studio svolto per Legacoopsociali, intitolata "Nella società del rischio le paure emergenti". Come vicini di casa, è emerso dalle interviste, i meno desiderati sono rom, tossicodipendenti, musulmani. Crolla la fiducia nelle Ong

Il 55% degli italiani pensa che il razzismo possa essere giustificato e il 65% dichiara di avere un atteggiamento di chiusura verso i migranti. Sono questi alcuni dei risultati di un'indagine di Swg, intitolata “Nella società del rischio le paure emergenti”, che è stata presentata a Roma nel quarto Congresso nazionale di Legacoopsociali. Alla domanda se determinate forme di razzismo e discriminazione contro alcune etnie, religioni, orientamenti sessuali possano essere giustificate, il 45% degli intervistati risponde “no, mai”, contro il 29% per cui “dipende dalle situazioni”, il 16% che risponde “solo in pochi specifici casi', il 7% “nella maggior parte dei casi” e il 3% “sempre”. 

Crolla la fiducia nelle Ong

Per quanto riguarda i flussi migratori, il 36% ritiene che si debba accogliere soltanto chi scappa dalla guerra e respingere chi arriva perché è povero, il 29% vorrebbe respingere il più possibile e il 23% vorrebbe accogliere molte persone. I recenti fatti di cronaca hanno inciso pesantemente sulla fiducia nelle Ong: il 71% ne ha poca (43%) o per niente (28%). E se si occupano di migranti la fiducia scende di ulteriori 4 punti. Swg ha indagato anche le simpatie verso le varie nazionalità ed etnie: i più “simpatici” risultano indiani e bengalesi, rom e sinti quelli più antipatici. E come vicini di casa, i più graditi risultano ebrei, omosessuali e poveri, mentre quelli meno desiderati sono rom, tossicodipendenti, musulmani e immigrati extra Ue.

Spaventa la crescita delle disuguaglianze

La ricerca è più ampia e indaga anche su altre “paure” degli italiani. Una grossa parte dell’indagine riguarda il sentimento sociale della popolazione. Il 61%, in base al reddito e alle condizioni di vita, si colloca nei ceti medio-bassi della scala sociale e il 41% ritiene che la sua condizione sociale sia peggiorata negli ultimi anni, contro un 8% che ritiene sia migliorata e un 43% per il quale è rimasta le stessa. La propria posizione sociale fa sentire “ripiegati” il 40% degli intervistati, “ruggenti” il 32% e “rancorosi” il 28%; “sereno” si dichiara il 15% e il 6% è “appagato”. Nel complesso, il 68% si sente “escluso” rispetto al contesto sociale ed economico (in aumento del 2% tra il 2016 e il 2017) contro il 32% di "inclusi" (-2%).

Uno su quattro vedrebbe bene una dittatura

Interrogati sulla necessità di un cambiamento, l'86% si dice favorevole, ma su "come" cambiare il 41% pensa ci sia bisogno di una rivoluzione contro il 49% che ritiene più opportuno usare la strada delle riforme. Un italiano su quattro, poi, pensa ci vorrebbe "una dittatura di 4-5 anni per ripulire a fondo il Paese" contro un 66% che chiede "un governo e un Parlamento determinati a fare interventi radicali e progressivi per almeno 10 anni". Il futuro, dal punto di vista della propria condizione sociale, non è roseo: il 29% la vede in calo, contro il 14% che la vede in crescita e il 42% statica. Quello che spaventa di più è la crisi economica (37%), l'acuirsi delle disuguaglianze (24%) e il quadro politico (11%). E per i figli, ciò che preoccupa maggiormente è la possibilità di vivere in un Paese con grandi ingiustizie sociali (44%, in crescita del 5% rispetto al 2016).

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