Mostre: a Venezia opere-sculture 'simboliche' di Stipitivich

Veneto

Nelle sale Galeria delle Cornici, al Lido, sino al 12 novembre

(ANSA) - VENEZIA, 04 NOV - Su un piedistallo nero poggia un gigante dalla pelle dorata e con un occhio solo che alza sopra la testa, come se fosse un trofeo, una teca che racchiude dei reperti che sembrano ossa. "Polifemo e quel che resta di Sansone" è il titolo di una delle opere-sculture realizzate da Stefano Stipitivich per "Quello che non dico", la mostra in programma fino al 12 novembre prossimi, a cura di Silvio Fuso, nelle sale della Galleria della Cornici, al Lido di Venezia.
    Il titolo, che sembra rinviare a mondi lontani, a scenari mitologici, in realtà è tutto ciò che l'autore svela dell'opera.
    Come avviene per le altre dieci presenti nell'esposizione, da "Il giardino delle Esperidi" a "L'arca d'oro" - uno scafo rovesciato su uno sfondo oro e nero dai richiami minimalisti? - , "Gli ingranaggi di Mefisto", "Il baratto ovvero il mago" - una marionetta-robot con un copricapo da mago su cui si poggia una sfera, forse un mondo? - o "Usque ad Finem et ultra comites".
    Per il curatore, "il non detto deve riferirsi a un nucleo di senso profondo, a un grumo di significati che la stessa, prepotente, visibilità delle opere contribuisce a occultare".
    I lavori dell'artista veneziano - dove imperano il blu, il nero, l'oro a dare quasi pelle a complesse costruzioni architettoniche dai sapori ora orientali ora barocchi o a urne che paiono contenere i segni del mondo - "ci incantano, li desideriamo come una volta, bambini, abbiamo desiderato i giocattoli irraggiungibili" dice Fuso. Ma questo - sottolinea - è solo una parte di un mondo di un artista che è carico d'ironia, di silenzi, di sacro. I lavori sono "miniature simboliche di un mondo antico", di un sacro "festivo, quello dei riti gioiosi e collettivi dei preziosi strumenti del culto, degli idoli zoomorfi, delle cupole e dei templi esotici".
    (ANSA).
   

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