L'auspicio che nel mondo postmoderno possa ricucire le società
(ANSA) - TRIESTE, 13 NOV - DEMETRIO FILIPPO DAMIANI, 'POSTMODERNITA' E PANDEMIA' (affinità elettive editore; 138 pp.; 16 euro) In una visione storica, il Covid, al netto delle terribili tragedie e danni che ha comportato e ancora causa, potrebbe rivelarsi il provvidenziale capolinea di alcune criticità di essere dell'uomo sul pianeta. In primis il sistema di economia globale - in termini macroeconomici, e, a livello sociale - un individualismo spinto che comporta sacche di sofferta marginalizzazione. E' l'auspicio di Demetrio Filippo Damiani, giornalista ed esperto di comunicazione, che vede nella possibilità di un futuro più inclusivo la soluzione allo sfarinarsi della società contemporanea, almeno quella Occidentale.
Vista così, meno bellica ma altrettanto (se non più) devastante, la pandemia potrebbe essere accostata alla visione hegeliana della guerra come igiene del mondo, a quella esigenza di profondo rinnovamento morale e politico cui tendeva il filosofo tedesco. Damiani nell'approccio sociologico della sua ambiziosa panoramica auspica che il Covid-19 possa essere esso stesso una sorta di vaccino contro una collettività confusa che - per assenza di visioni, stordimento da social e perdita di valori - si autodisorienta sempre di più. Un habitat culturale che il fenomeno della post-verità - "anteporre alla oggettività dei fatti il ricorso alle emozioni e alle convinzioni individuali" - rende ancor più frastornante. L'autore individua in figure come l'ex presidente degli Stati Uniti Donald Trump l'archetipo di questo comportamento.
Il libro avanza individuando "giunture critiche" e "cleavage" della "società in transizione" in cui viviamo e nella prima parte risente dell'impellenza di spiegare e sintetizzare tale contesto. Nella seconda parte analizza la pandemia sotto il profilo storico e della comunicazione, in un riepilogo che contiene le frange in opposizione al vaccino e alle misure di contenimento della diffusione del virus e, soprattutto, è attento alla "etnicizzazione" del Covid, cinese prima e italiana subito dopo. (ANSA).