Buzzfeed e Vice, le news messe in crisi da social, piattaforme e creator economy

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Marianna  Bruschi

Marianna Bruschi

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The BuzzFeed News website on a smartphone arranged in Hastings-on-Hudson, New York, U.S., on Monday, Dec. 6, 2021. BuzzFeed Inc. shares fell in their first day of trading, a sign investors are wary of the digital media company after a shaky lead-up to its public debut. Photographer: Tiffany Hagler-Geard/Bloomberg via Getty Images

Buzzfeed ha annunciato la chiusura della sua divisione "News", Vice Media va verso la bancarotta: cosa sta succedendo a due dei media digitali considerati tra i più innovativi? Ne abbiamo parlato con Valerio Bassan, giornalista ed esperto di strategia digitale

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La cronaca. Vice Media sarebbe a un passo dalla bancarotta, come riportato per primo dal New York Times. La notizia uscita il primo maggio era stata anticipata qualche giorno prima da indiscrezioni sulla “ristrutturazione del comparto news” con il licenziamento del 10% del personale e la cancellazione di uno degli show prodotti da Vice per HBO, Vice News Tonight. Torniamo indietro di qualche giorno, al 20 aprile. Un altro annuncio: chiude BuzzFeed News. Una morte annunciata dai tagli degli ultimi anni, l’ultimo dei quali nel 2022 con gli incentivi all’uscita per il 50% dei giornalisti. Considerati tra i media digitali più innovativi, entrambi non hanno retto. Ma a cosa? Cosa sta succedendo? “Il primo punto di contatto tra questi due media è che entrambi sono stati innovativi nei formati e nel rapporto con il pubblico. Ma entrambi hanno giocato male il rapporto con le piattaforme”, dice Valerio Bassan, giornalista, esperto di strategia digitale, autore della newsletter Ellissi. Bassan è stato il primo direttore di Vice News Italia, da settembre 2015 a dicembre 2016.


Cosa ci dice sul mondo dei media la crisi di due tra i brand digitali più innovativi degli ultimi anni? Cosa è successo a queste due testate? 

Entrambi hanno rappresentato il mondo dei “pure digital player” che hanno giocato la sfida a diventare più grandi dei giornali tradizionali. Si sono posti in una posizione disruptive rispetto ai media del passato e il principale punto di contatto che ha portato entrambi a questa situazione è come si sono posti rispetto alle piattaforme. 

Entrambi cioè hanno basato tutto, o molto, su social e piattaforme. Questo ha influito sul loro destino?

Ha giocato sicuramente un ruolo. E’ stato anche utile per entrambi, ma - Buzzfeed più su Facebook e Vice principalmente su Youtube - hanno commesso due errori quasi paragonabili. Buzzfeed ha pensato di essere l’azienda giusta per produrre dei contenuti che alimentassero la delivery pubblicitaria delle piattaforme, con uno schema per cui “le piattaforme hanno bisogno di contenuti, noi facciamo contenuti super ingaggianti quindi la simbiosi è perfetta”. E per Vice è stato: “Noi facciamo video meglio di tutti gli altri, raccontiamo storie meglio degli altri, le piattaforme hanno bisogno dei nostri video di qualità e quindi ci premieranno”. In entrambi i casi non è andata esattamente così. 

 

Cosa non hanno previsto? O cosa non hanno preso in considerazione?

Entrambi sono stati messi a repentaglio dalla creator economy. Semplificando, a un certo punto i contenuti di Buzzfeed li poteva fare chiunque e con lo stesso livello di engagement, così come più tardi i contenuti di Vice li poteva fare chiunque, magari non gli stessi reportage ma un video di mezz’ora ingaggiante su Youtube lo poteva fare qualcun altro dalla sua cameretta. Le loro formule sono diventate copiabili, dalle liste al giornalismo immersivo. 

 

Quindi i format che per i due brand erano identitari a un certo punto non lo sono stati più, o non abbastanza.

Sì, e non solo. Questi format ripresi dai divulgatori digitali sono stati portati a nuovi livelli, con un fattore identificativo in più che è tipico del mondo dei creator: l’aggiunta della relazione diretta tra il creator e la sua community, una relazione che una testata tradizionale - non solo Buzzfeed e Vice - difficilmente riesce ad avere. Questi due media hanno avuto anche un po’ di arroganza nel pensare di non essere toccati dalle dinamiche dei media, hanno pensato di non essere replicabili ma lo sono stati. 

 

I nuovi concorrenti sono diventati i social e le altre piattaforme? 

Le piattaforme sono diventate concorrenti sul mercato pubblicitario. I giornali oggi hanno una sfida in più e un alleato in meno: anche i disinvestimenti da parte delle piattaforme social sul giornalismo sono segnali chiari. Prima c’era un equilibrio: io ti mando traffico, con questo tu monetizzi, e dall’altro lato io in cambio ti do contenuti. Ora le piattaforme spingono sempre meno traffico sul giornalismo, il trend è questo. 

 

E qui si sono poi inseriti i creator. 

Ci sono quelli che chiamiamo personal media che possono essere anche newsletter, podcast, un profilo Tiktok e che sono oggettivamente molto forti su community specifiche verticali. Nella frammentazione dello spazio dei media sempre più accentuata, le persone e gli algoritmi creano questa sorta di dieta mediatica individuale che è anche molto fidelizzante. 

 

C’è un ulteriore elemento: entrambi hanno lanciato un ramo “news” che inizialmente non avevano. E’ stato un errore?

Sicuramente questo è un elemento che li ha affossati: le news sono poco remunerative. Il lancio del brand “news” è stato fatto in due modi diversi. Per Buzzfeed è stato più tradizionale, per Vice più sul fronte video, assecondando il loro Dna, ma è stato un pozzo di spesa ampio. Nessuno dei due news brand ha attirato un pubblico fidelizzato, le loro homepage non sono mai diventate il punto di partenza per capire cosa succede nel mondo. Avevano tra loro e il pubblico gli algoritmi dei social. Non è facile creare un news brand da zero nell’era digitale e diventare sufficientemente rilevanti per un numero abbastanza elevato di persone.

 

Alla fine quindi reggono meglio i media tradizionali? 

Diciamo che sono più strutturati per assorbire alcuni contraccolpi. I media che hanno un parco prodotti più ampio (non penso solo alla carta, ma anche ad altro, dagli eventi alle academy) hanno più possibilità, mentre se punti su un solo cavallo non è facile. Per queste due testate va anche detto che entrambe hanno prodotto soprattutto giornalismo investigativo, che ci mancherà molto, ma che è ancora più particolare: non ha un modello di business. O c’è un grande benefattore o una fondazione, anche il sostegno dei lettori non è bastato.

 

Quale modello di business hanno, avevano, Buzzfeed e Vice?

Buzzfeed si basava sull’advertising, le news inizialmente facevano status, l’idea era “le paghiamo con il resto” poi hanno introdotto una membership. Vice News aveva un modello diverso, con una cable tv e poi un accordo quadro con HBO per cui  Vice produceva due show sulle news. Il punto è che le loro grandi inchieste giravano molto e vincevano premi, ma il 95% degli altri contenuti aveva un pubblico basso.


I nuovi media sfidano i brand tradizionali sulle stesse piattaforme. Quale approccio devono avere?

Qualsiasi media company ha bisogno di avere più di una linea di business. Deve dipendere il meno possibile da una sola fonte di guadagni. La soluzione che vedo - non semplice - è avere una componente di advertising, poi una componente da agenzia, quindi l’offerta di servizi, per esempio di comunicazione, di produzione video, audio,  pubblicità  e poi un elemento simile replicato sugli eventi, community engagement. Jeff Jarvis diceva sempre: “La proposta al mercato di Buzzfeed era ‘So come far diventare le cose virali, farò diventare virali anche le tue’. E per Vice: “So far diventare le cose cool, faccio diventare cool anche le tue'”. 

 

Altre fonti per tenersi in piedi? 

Vedo altre due gambe: l’e-commerce, quindi la vendita diretta di prodotti con consigli di acquisto. Buzzfeed per esempio ci ha provato con Buzzfeed Reviews. E poi serve sicuramente una parte di reader revenues: può essere la membership, o contenuti premium a pagamento. E’ sano per tutte le media company avere una parte di finanziamento che arriva dalla propria community. Se è facile? No. Impossibile? Nemmeno. 

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