Il Garante per la privacy: Con una foto rubata si creano anche centinaia di profili fake. L’UE verso nuove regole sui servizi digitali
Qualche giorno fa sono rimasto vittima di un furto di immagini su Instagram e non è stato facilissimo venirne a capo. Già la scoperta è avvenuta per caso, con la notifica al mio profilo @robtallei di un nuovo follower, un anonimo @spamm_krayon_ (un nome, un programma). Qualche ora dopo, tornando sulla schermata “ultime attività” della app mi è caduto l’occhio ancora su quella notifica: l’account in questione aveva infatti la mia faccia come nuova immagine del profilo. Forse un caso o forse no, era stata usata la foto con più like in assoluto tra quelle caricate sul mio account. Krayon si definiva nella biografia come una vineria, seguiva 36 account ed era seguito da altri 92. Otto in tutto le foto caricate, tutte e otto provenienti dal mio account.
In teoria Instagram prevede una procedura abbastanza semplice per segnalare casi del genere. Dalla pagina incriminata e si cerca tra le opzioni il percorso segnala/inappropriato/segnala account/finge di essere qualcun altro/io. Bastano pochi istanti per farlo e in teoria basterebbero pochi istanti agli algoritmi della piattaforma verificare che le foto utilizzate sono già state caricate in precedenza da altri. In fondo le linee guida del social network prevedono chiaramente che possano essere pubblicate solo immagini proprie o di cui si ha il diritto di condividere e non è possibile utilizzare l’identità di altri.
In realtà, nonostante la segnalazione mia e poi di qualche decina di conoscenti, Instagram batte un colpo solo dopo 48 ore, informando però che @spamm_krayon_ (nel frattempo diventato profilo privato) non è stato rimosso, in quanto “potrebbe non violare” le linee guida della community. “Se ritieni che abbiamo commesso un errore – prosegue il messaggio -, invia una nuova segnalazione”.
Una cantonata piuttosto palese, insomma, mentre sale un po’ di inquietudine per l’uso che nel frattempo può essere fatto di quell’account fake. L’ipotesi meno peggio è che si tratti di un bot. Un profilo cioè che finge di essere una persona vera, da usare nella compravendita di follower e like tuttora in voga su Instagram (vietata però dalle regole della community e contro la quale la piattaforma continua a battersi con impegno). La mia faccia insomma potrebbe arricchire la schiera di presunti seguaci di qualche aspirante influencer o potrebbe essere usata per aggiungere “cuoricini” a post di cui non so nulla, magari fake news o messaggi politici. Nelle ipotesi peggiori, invece, Krayon potrebbe compiere atti di bullismo online, scrivere commenti razzisti o di incitamento all’odio, o ancora portare avanti ricatti a sfondo sessuale. Non è insomma una situazione piacevole e fa male non sentirsi tutelato. Soprattutto pensando che chiunque potrebbe finire vittima di un incidente come questo, anche un soggetto debole o un minore. Instagram è infatti aperto a tutti i maggiori di 13 anni.
Parallelamente alla “nuova segnalazione” dell’account fake ho deciso dunque di chiedere spiegazioni all’ufficio stampa di Instagram. Al di là dell’essere riuscito (dopo ulteriori 24 ore, quindi tre giorni dopo l’inizio di tutto) a vedere cancellare il profilo abusivo, l’unico chiarimento è arrivato sul fatto che la procedura di verifica prevede un intervento misto di algoritmi e controllo umano. Per il resto è stato ribadito solo che ci sono due modi per segnalare un account fake, attraverso la app oppure mediante un modulo online. Impossibile sapere dove è stato l’errore nella verifica, se la segnalazione è stata lavorata da un algoritmo o da una persona, se gli utenti a cui è stata rigettata una prima richiesta abbiamo la possibilità di ottenere con certezza l’intervento di un operatore umano. Mistero anche sui tempi medi con cui vengono processate le segnalazioni di furto di identità.
Eppure la vicenda non è isolata. Lo conferma l’ufficio del Garante per la privacy italiano: a volte capitano addirittura casi eclatanti, come quello di un uomo le cui foto sono state rubate per creare centinaia di falsi profili Facebook, usati poi per mettere in piedi le cosiddette “truffe amorose”. Quando all’Autorità arriva una segnalazione di possibile furto di identità essa viene inoltrata al social network interessato. Finora c’è stato sempre un lieto fine: le piattaforme hanno provveduto a cancellare gli account incriminati al primo
sollecito. La competenza del Garante, però, finisce quando si profila un reato. In questi casi bisogna rivolgersi ad altri soggetti quali la Polizia postale, ma la normativa non è chiarissima.
La sentenza 25774 del 2014 della Corte di Cassazione ha stabilito che il reato di sostituzione di persona (disciplinato dall’articolo 494 del Codice penale) si configura anche solo creando un account su un social network con un nickname di fantasia, associandolo però all’immagine di un’altra persona. Non è dunque necessario utilizzare anche il nome proprio del soggetto ritratto in foto. Sempre la Cassazione, all’inizio del 2020, ha però anche stabilito che il furto di identità attraverso i social non è punibile qualora si tratti di un “episodio isolato”. Quanto alla responsabilità del social network circa la tutela delle informazioni dell’utilizzatore, gli esperti fanno riferimento all’articolo 16 del decreto legislativo 70/2003 che disciplina il commercio elettronico. Il fornitore del servizio (in questo caso la piattaforma) non è responsabile solo fino al momento in cui viene a conoscenza dell’illecito e solo se, non appena a conoscenza dei fatti, agisce immediatamente per rimuovere le informazioni o per disabilitarne l’accesso.
“Anche i legislatori europei sono a conoscenza dei numerosi problemi connessi all’uso dei social media”, spiega Ernani Cerasaro, legal officer per la European Consumers Organization (BEUC). Si va dalla violazione dei diritti dei consumatori e della protezione dei dati alla diffusione e facilitazione di attività illegali online. Entro la fine dell’anno dovrebbe essere proposta una nuova legge europea sui servizi digitali, il cosiddetto Digital service act. “Ci auguriamo che questa norma colmi le lacune normative esistenti – aggiunge Cerasaro -, così da garantire il rispetto delle regole da parte delle aziende e la possibilità per i consumatori di ricorrere in presenza di violazioni”.