Dopo il lockdown, Stoccolma
Neppure si può parlare di "lockdown" per quanto riguarda la capitale svedese, che fin da inizio emergenza Coronavirus ha preferito le raccomandazioni agli obblighi.
Ecco il quarto reportage del nostro viaggio europeo
Stoccolma oggi, vista da un italiano, è ciò che non ti aspetti. Una realtà a cui ti sei disabituato, che ti stranisce e ti mette sulla difensiva. Dopo aver visitato Spagna e Francia, entrambi nel pieno di un nuovo aumento dei casi, Stoccolma è stata la porta verso un'altra dimensione. Il virus c'è, gli avvisi anche, mancano le mascherine. E di questo molto si è discusso...
Le mascherine in Svezia sono obbligatorie solo nei reparti ospedalieri; non si indossano sui mezzi pubblici, né nei negozi, entrando in bar e ristoranti, ancora meno per strada.
Se indossi la mascherina sei tu quello strano.
Da turista ti viene concessa come una stranezza "da viaggiatore", perché gli svedesi lo sanno di aver seguito direttive molto differenti dal resto d'Europa.
La convinzione di essere "diversi", che esista un "modello svedese" funzionale solo per la Svezia è centrale, nel loro modo di affrontare le numerose critiche arrivate dai Paesi vicini.
Le abitudini sociali differenti, la minore densità abitative, i vasti spazi cittadini e naturali sono tra le principali spiegazioni apportate dalle autorità sanitarie nel motivare - agli occhi dei Paesi europei - la scelta di non imporre obblighi, né un lockdown, sostituendoli con raccomandazioni.
"La strategia di Stoccolma è stata fare mitigazione, non contenimento", ci spiega Paolo Parini, direttore di ricerca al Karolinska Institutet.
"L’Italia ha fatto il lockdown e adesso ha riaperto; la Svezia continua con le stesse regole della mitigazione. Il problema più serio qui è stato legato agli anziani e alle case di riposo. Lì dentro purtroppo il Covid è entrato. A posteriori gli standard di sicurezza di lavoro non erano come quelli ospedalieri, e anche l’educazione del personale non era sufficiente".
Sul fronte del mancato uso delle mascherine, l'indicazione delle autorità è che sia più rischioso usarle in modo scorretto che non usarle affatto.
" Quello che funziona in Svezia non può funzionare in Italia e viceversa", continua Parini. "Qui già non si danno la mano, non si abbracciano, non ci si bacia sulle guance. C’è una barzelletta che dice: 'ora siamo nella fase 2, possiamo tornare alla normalità, dai due metri di distanza che ci hanno imposto ai soliti cinque'".
Affrontiamo con lui anche il tema degli asintomatici, considerati non contagiosi dalle autorità svedesi:
"Da noi al primo sintomo sospetto non si va al lavoro o a scuola, si resta a casa". Prima bastavano 48 ore senza sintomi per tornare alla normalità, però, ora quella tempistica si è allungata per chi lavora in ospedale: "Adesso bisogna fare passare una settimana senza sintomi. Si sono tolti anche i giorni di carenza per agevolare questo sistema, prima il sistema svedese non prevedeva rimborso per chi stava a casa in malattia".
Altro tema dibattuto all'estero, l'immunità di gregge: Parini parla di "un'espressione politicizzata", quando "fondamentalmente la Svezia ha voluto proteggere le fasce a rischio e gli anziani.
" Si è cercato di esporre la popolazione al virus, quella dove il rischio di uno sviluppo maligno è molto basso, in attesa poi di arrivare al vaccino… ma non c’è stato un progetto politico di immunità di gregge".
Paolo Parini, direttore ricerca Karolinska Institutet
La centrale piazza Sergels Torg a marzo e oggi: la Svezia non ha mai imposto un lockdown, ma sono state raccomandate limitazioni che hanno cambiato le abitudini cittadine
Strano, per un italiano, trovarsi a vivere l'emergenza Coronavirus in Svezia. "La nostra famiglia in Italia, vicino a Bergamo, era molto preoccupata per noi qui", raccontano Mattia e Chiara, lui ricercatore e lei insegnante, genitori di due bambine.
"Non sapevamo come comportarci. Nessuno metteva la mascherina, se mettevi la mascherina eri visto come l’untore del popolo”.
Le loro figlie, anche se ad alternanza, sono comunque andate a scuola anche nei mesi scorsi: "All'inizio dell'epidemia in Italia le abbiamo tenute a casa perché ci aspettavamo che avrebbero chiuso le scuole anche qui da un momento all'altro. Invece non è successo. Allora le abbiamo mandate di nuovo, ma abbiamo ricevuto molte pressioni dalle famiglie in Italia e abbiamo deciso di lasciarle a casa di nuovo per tre settimane.
La situazione era comunque strana perché ci siamo sentiti giudicati dalla popolazione svedese, nessuno capiva come mai stessimo tenendo le figlie a casa.
La valutazione che fanno qui è che i bambini non siano molto contagiosi. Ora hanno ricominciato il nuovo anno scolastico".
"Il fatto che non abbiamo un lockdown qui non significa che il nostro modo di vivere non sia cambiato. Sono stati messi dei limiti agli assembramenti, chiusi alcuni locali... Penso che le persone siano state molto rispettose"
ci dice Sanna Björling, giornalista del principale quotidiano svedese, il Dagens Nyheter.
"Tra le priorità del governo c'è stata la tutela psicologica della popolazione, soprattutto delle fasce più fragili. Gestire l'emergenza con raccomandazioni al posto di obblighi è stato possibile perché c'è grande fiducia tra la popolazione e le autorità sanitarie, oltre che tra cittadini stessi", conclude Sanna. Ancora una volta, è il "modello svedese" a fare da garanzia.
Le scelte svedesi hanno avuto un effetto concreto sulle vite di molti gestori e dipendenti di attività che invece in Italia e in buona parte d'Europa hanno chiuso per diversi mesi dopo l'inizio dell'emergenza. E' il caso dei tatuatori, che a Stoccolma non hanno mai dovuto abbassare la saracinesca e continuano a lavorare tutt'oggi quasi come un tempo.
Nessuna mascherina, solo limitazioni al numero massimo di clienti e personale in negozio e tatuaggi solo su appuntamento.
A parlarcene è Emilia Lee, nota tatuatrice nel Paese, co-proprietaria dello studio Catapult Tattoo. Mentre siamo in sua compagnia in negozio arriva una giovane cliente, che si accomoda e inizia la seduta.
Se il clima di tranquillità può stupire, bisogna tenere presente che l'indicazione dell'autorità sanitaria è che gli asintomatici non siano contagiosi.
"Se il cliente si sente bene e non a sintomi non mi preoccupo. E mi aspetto che sia lui in primis a telefonare e cancellare l'appuntamento se non si sente bene".
Emilia ci racconta anche un insospettabile risvolto positivo della situazione degli ultimi mesi: oltre a essere tatuatrice, infatti, è una pittrice e proprietaria di una galleria d'arte a Gamla Stan, zona molto turistica della città. "Negli ultimi mesi non passava nessuno, in compenso è stato il mio miglior periodo di sempre per le vendite. Mi contattano tramite i social. Penso che le persone, uscendo meno, abbiano più interesse ad abbellire casa".