Dopo il lockdown, Lisbona
Con il crollo del turismo il centro storico si è svuotato.
Ecco come la capitale portoghese - prima tappa del nostro viaggio attraverso l'Europa post lockdown - sta cambiando dopo la prima fase dell'emergenza Coronavirus
Porte sbarrate, serrande abbassate, sedie impolverate impilate dietro le vetrine di ampi spazi a pochi passi dal Tago. Il Portogallo è considerato tra i posti più sicuri d'Europa dove viaggiare, nell'estate del post lockdown, eppure le vie del centro a Lisbona sono quasi deserte.
Nonostante sia metà agosto, molti bar e ristoranti sono rimasti chiusi perché non vale la pena di riaprire per mancanza di affluenza. Molti non riapriranno neppure in autunno: il 30% delle attività di accoglienza e ristorazione ha dichiarato bancarotta a causa della crisi economica generata dal Coronavirus.
Lisbona sconta così le conseguenze di una strategia economica centrata sul turismo di massa, che ha avuto come effetto l'innalzamento dei prezzi degli affitti del 20% in meno di cinque anni, costringendo i locali a trasferirsi in periferia o fuori città mentre il centro veniva riconvertito quasi esclusivamente ad uso ricettivo.
Dopo il lockdown la città ha cambiato radicalmente aspetto. Solo nei quartieri più popolari la vita continua quasi come prima dell'emergenza, con qualche mascherina in più.
E proprio tra la Mouraria e Graça, quartieri vicini alla più turistica Baixa, le tipiche pareti dipinte dagli street artist locali e internazionali accolgono nuovi stencil a tema Coronavirus.
"Se ne aggiungono ogni giorno, per creare consapevolezza sul virus, sulle mascherine e sulle misure di contrasto", ci racconta Igor Vitorino, guida turistica e street artist, in arte "Street Buddha".
Durante il lockdown ha creato un tour virtuale sulla street art a Lisbona, per poter continuare a lavorare online con turisti virtuali da tutto il mondo. Ora che può tornare a organizzare tour guidati in città, però, a mancare sono i turisti.
Da portoghese, ci testimonia il forte cambiamento che Lisbona ha fatto negli ultimi dieci anni: "Io abitavo alla Moureria nel 2012 e pagavo 350 euro di affitto. Ora il prezzo è stato alzato a 1000. Mi sono dovuto trasferire in periferia, come quasi tutti i portoghesi che a causa della gentrificazione dei quartieri non potevano più permettersi di vivere in centro città".
La centralissima Praça do Comércio
durante e dopo il lockdown
Per evitare che in futuro il centro storico di Lisbona possa trovarsi di nuovo svuotato a causa dell'assenza di viaggiatori, il sindaco Fernando Medina ha introdotto a inizio estate 2020 un piano - chiamato Renda Segura - per incentivare i proprietari delle case ad affittare ai locali, piuttosto che ai turisti.
La misura vincola i proprietari con contratti di cinque anni da stipulare con cittadini portoghesi; il loro timore è quindi "dover rinunciare alla licenza turistica", ci ha spiegato l'architetto Ana Bruto Da Costa, "per cui al momento in pochi stanno aderendo, direi la metà di quelli che il sindaco si aspettava. E' vero, il flusso di turisti si è interrotto ma c'è la speranza che possano tornare presto. Il piano funzionerebbe davvero solo se rimanessimo a zero turisti", aggiunge.
Ed ecco dunque che il centro città resta vuoto, silenzioso, un po' lunare, in attesa di tempi migliori.
Se nel resto d'Europa infatti in questo metà agosto i numeri sui contagi tornano a salire e a preoccupare, il Portogallo sembra galleggiare in un momento di relativa stabilità. Tanto che è comune leggere di "modello portoghese" nella gestione dell'emergenza. Ma vediamo di cosa si tratta...
"Qui in Portogallo il 95% dei casi Covid sono gestiti dai medici di famiglia. Solo una piccolissima parte di pazienti è gestita in ospedale o ricoverata"
Così ci spiega Martino Gliozzi, nato a Imola, medico di famiglia a capo di una casa della salute nel quartiere centrale della Baixa. "Il Paese investe nelle cure primarie, nella medicina del territorio, mentre in Italia abbiamo una medicina più centrata negli ospedali e sistemi sanitari diversi per ogni regione. Qui le case della salute operano nel quartiere, i medici conoscono i pazienti che fanno parte di quel centro e sanno come gestirli".
"Penso che il fatto che ogni centro segua un quartiere specifico abbia fatto sì che durante la pandemia sia più facile seguire le persone", continua Gliozzi, "io ad esempio lavoro qui e questa zona la conosco perfettamente. E' molto diverso dall’Italia dove il medico di famiglia può essere scelto e i suoi clienti sono sparsi".
Non tutte le attività stanno soffrendo nello stesso modo: chi ha puntato su una clientela locale ha avuto le stesse difficoltà di bar e ristoranti localizzati nelle aree meno turistiche.
E' il caso di Ruvida, piccolo ristorante italiano specializzato in pasta fresca fatta a mano dalla titolare, Valentina Franchi. Il take away durante il lockdown e la riapertura con prenotazione hanno permesso al locale di salvarsi. Insieme a un prestito "perché sennò senza le entrate non avrei saputo come pagare i fornitori", ci racconta.
"La situazione è abbastanza tragica. Almeno il 30% dei ristoranti ha dichiarato bancarotta. Non tutti i ristoranti hanno una base di clientela locale solida, in alcuni i portoghesi non andavano prima e non vanno ora". "Fronte governo è stata messa una cassa integrazione semplificata, sono state introdotte leggi sugli affitti per vietare di sfrattare chi non pagava l’affitto e la moratoria sui mutui, molto importante".