Dopo il lockdown, Barcellona

Un nuovo aumento dei contagi diffonde la paura
nella città catalana, che dopo le aperture seguite alla prima fase di emergenza torna a chiudere e a imporre restrizioni.
Ecco la seconda tappa del nostro reportage in Europa

Doveva essere un'estate di ripresa. Bar e ristoranti avevano riaperto, prediligendo i tavoli all'aperto, le prime prenotazioni anche da parte di viaggiatori stranieri stavano riempiendo gli hotel lungo la costa.

La Spagna aspettava il riscatto dopo i mesi di severo lockdown e le settimane primaverili di incertezza.

Così non è stato: il nuovo aumento di positivi al Coronavirus nel Paese a inizio agosto ha provocato un effetto domino, portando a migliaia di cancellazioni da parte dei turisti stranieri. Prima la quarantena imposta ai cittadini britannici di rientro a casa dalle aree spagnole più a rischio, poi l'invito da parte dei governi francese e tedesco a non viaggiare nel Paese, infine l'obbligo di un tampone o dell'isolamento per gli italiani transitati lì.

Il sistema turistico, che aveva ricominciato a crescere a inizio giugno e aveva lentamente ma costantemente ripreso a correre verso metà luglio si è di nuovo arrestato. Peggio, molte attività - soprattutto le grandi catene alberghiere che hanno i costi fissi più alti - sono state costrette a rimandare l'apertura, non più ad agosto, o a settembre, ma all'autunno più inoltrato nella speranza di un cambiamento favorevole della situazione sanitaria.

Intanto le mascherine sono tornate obbligatorie in tutta la Catalogna, negli spazi chiusi e all'aperto. Per limitare "le scuse" per non indossarle è stato anche introdotto un divieto di fumo all'esterno, quando non si possono mantenere le distanze.

"Solo il 20% degli hotel di Barcellona
sono aperti in questo momento.
Molti non sanno ancora se riapriranno"


Facundo Arnaudo, Key Account Manager Gruppo Hotusa

L'incertezza è pesante da gestire, per le attività. La riapertura dopo il lockdown ha comportato degli investimenti non sempre facili da riassorbire, in tempi in cui le entrate sono ridotte. L'imprevedibilità delle norme - chiusura, distanziamento, mascherine, spazi esterni - non va di pari passo con la flessibilità delle misure a sostegno di imprenditori e lavoratori.

"Ho dovuto calcolare di quanto personale avrei avuto bisogno senza sapere quanto sarei rimasto aperto, con quale affluenza"

ci racconta Santiago Lowe, ristoratore proprietario di alcuni locali in città, tra cui la pizzeria Buon Appetito dove lo incontriamo. "Ho chiesto la cassa integrazione per alcuni dipendenti, ma è uno strumento poco adattabile alla situazione in continua evoluzione. Così passo da momenti in cui non siamo abbastanza per gestire i clienti e devo chiedere una mano ad amici e familiari ad altri in cui - a causa dell'aumento dei casi - non c'è nessuno".

Il mercato della Boqueria durante il lockdown e oggi

Tra le attività che si sono dovute arrestare a causa del nuovo aumento dei contagi ci sono quelle culturali: le piccole realtà indipendenti, come le associazioni, sono tra quelle che hanno sofferto di più.

E' il caso de "La Miranda", piccolo centro di aggregazione nel quartiere del Parc Guell. Uno spazio dove i volontari e i cittadini possono coltivare un piccolo orto, tenere animali da cortile, ma anche riunirsi per concerti e serate.

"Eravamo ripartiti a metà estate con il cinema all'aperto. I nostri associati erano contenti di poter tornare alla vita sociale e culturale. Abbiamo dovuto di nuovo chiudere per via delle restrizioni reintrodotte. Potremmo riunirci in piccoli gruppi, preferiamo non farlo per senso civico", ci racconta Rocco Mazzolini

Alle sue spalle bandierine colorate sventolano nell'aria calda, come sventola il bianco tendone del cinema, sciolto dai fili di fronte a una platea di sedie accatastate.

Rocco, oltre a essere un volontario de La Miranda, lavora come biomedico in un centro di ricerca nella città catalana. Durante il lockdown si è occupato insieme ai colleghi di analizzare un numero eccezionale di tamponi per una campagna di screening della popolazione: ne hanno esaminati 180mila in sei settimane.

"In caso di una nuova emergenza, se la Regione stanziasse di nuovo fondi extra per i reagenti, saremmo pronti a dare ancora il nostro contributo. Ormai il sistema per analizzare molti tamponi - che consiste in database organizzati e robot per velocizzare i passaggi - è stato messo a punto", spiega.

Item 1 of 3

Per molti catalani la gestione sanitaria da parte del governo di Madrid durante la pandemia è stata l'occasione per ribadire l'importanza dell'indipendentismo.

Ne parliamo con Elisenda Alamany, consigliera comunale, che ci accoglie all'interno del suo ufficio nel centralissimo palazzo di Plaça de Sant Jaume.

"Ovviamente il Coronavirus ha cambiato le priorità del dibattito pubblico. Ma non può annullare il nostro desiderio di indipendenza. Perché non si tratta di cambiare una bandiera: l'indipendenza è un modo sistemico di affrontare tutti gli aspetti della società, inclusa la sanità"

Da un lato, ci spiega Elisenda, è importante che la Catalogna possa prendere le proprie decisioni nella gestione sanitaria dell'emergenza. Dall'altro "è fondamentale avere una migliore coordinazione, con il governo a Madrid e con l'Unione europea. Nessuno è solo nelle proprie scelte politiche: saremo pronti a uscirne, ad affrontare nuove sfide simili in futuro, se tutti saranno pronti e ci potremo sedere intorno a un tavolo per scegliere linee guida comuni".

La bandiera catalana è appesa alle sue spalle. Fuori dal palazzo comunale, invece, sventola l'immagine dell'arcobaleno che ci siamo abituati a vedere nelle immagini di tutto il mondo durante l'emergenza: andrà tutto bene, recita, "Ens en sortirem!".

Guarda il nostro video reportage integrale su Barcellona

La prima tappa ci aveva portati a Lisbona (vedi il reportage); ora dopo Barcellona il nostro viaggio attraverso le città europee dopo la prima fase di emergenza Coronavirus ci porta a Parigi, poi Stoccolma e Berlino.