Tra finanza e tecnologia
Quanti soldi servono e dove devono essere investiti
Le guerre del clima hanno lasciato delle cicatrici profonde sul climatologo Michael Mann. Parecchi anni fa è stato preso di mira da killer mediatici negazionisti - evidentemente su commissione - per avere guardato a dei dati scientifici e averlo fatto con la forma di una mazza da hockey. Il suo celebre grafico è chiamato infatti “hockey stick” perché assomiglia effettivamente a una mazza da hockey. Con la parte lunga che rappresenta la temperatura media globale, così come è stata per migliaia di anni, e la parte corta a rappresentare l’aumento causato dall’uomo a partire dalla rivoluzione industriale.
Oggi i negazionisti del clima si sono trasformati in ritardatori, dice Mann. Cercano di ritardare la transizione energetica. Le tattiche dei delayers hanno un influsso diretto sulla finanza climatica, cioè su uno dei motori della transizione energetica.
630 miliardi di dollari
sembrano una cifra esagerata
In realtà è molto lontana
da quello che serve per poter muovere qualcosa in termini di finanza climatica
Barbara Buchner non fa distinzione (guarda il video in alto), tra finanza pubblica e finanza privata. A Glasgow si è parlato soprattutto della finanza pubblica ma è chiaro che la finanza privata, come ha detto lo stesso Draghi in apertura del G20 a Roma, è probabilmente il più grande acceleratore per i processi di transizione.
È chiaro che la finanza privata si orienta, anche in maniera molto veloce, se sul piatto ci sono incentivi adeguati in termini di redditività e in termini di rischio. Ad esempio, in un contesto come quello industrializzato sappiamo che le energie da fonti rinnovabili hanno oggi una redditività anche superiore alle fonti fossili. Non è la stessa cosa nel resto del mondo nei paesi emergenti dove dobbiamo colmare questo gap attraverso opportuni meccanismi.
Il modo in cui la finanza opera genera una serie di conseguenze che ricadono direttamente su di noi intesi come piccoli risparmiatori. Sul modo in cui investiamo i nostri risparmi.
Così come succede per i prodotti che utilizziamo e consumiamo ogni giorno, anche per quanto concerne i prodotti finanziari, negli ultimi anni, c'è stata una grande attenzione al tema della sostenibilità .
Quando si parla di climate change e di soldi investiti, sembra quasi impossibile non imbattersi nell'espressione "Greenwashing"
C'è chi dice che sia nata nel 1986 da Jay Westerwelle:
se la prendeva con le catene di alberghi che chiedevano
ai clienti di non cambiare asciugamani,
apparentemente per non inquinare.
In realtà per tagliare i costi del lavaggio degli asciugamani
Di fatto si tratta di un'espressione che utilizziamo da molto tempo, tanto che è stata coniata proprio la parola decoupling, disaccoppiamento, ad indicare il fatto che - in certe situazioni - le organizzazioni, gli individui, le imprese si comportano in un certo modo di fronte a dichiarazioni di intenti che sono in realtà molto diverse.
Questo costituisce un ostacolo perché distoglie risorse finanziarie da investimenti che invece devono andare verso le tecnologie per la decarbonizzazione. E quindi non è soltanto una questione della "pitturata" di verde che ci si dà, non è soltanto una questione di comunicazione. C'è proprio un danno anche in termini finanziari.
L'insieme delle trasformazioni, delle decisioni di politica energetica, in alcuni casi anche di geopolitica, hanno una presa diretta sulla nostra vita Per esempio nel modo in cui noi usiamo l'auto. Alcune informazioni ci aiutano: oggi sappiamo da alcune ricerche che il 95% del tempo un'automobile rimane parcheggiata. Inoltre sappiamo che solo 1,5 dei 5 posti a disposizione viene occupato durante la vita di un mezzo. Quindi lo utilizziamo anche male. Complessivamente la quantità di energia che viene inserita nell'automobile, dall'estrazione delle materie prime fino alla fine della vita, viene utilizzata in modo inefficiente.
Ritornando al tema della competizione tra le diverse tecnologie: lo standard del motore endotermico che si è affermato negli anni è il risultato di un espediente competitivo. Henry Ford ha introdotto la catena di montaggio e in questo modo ha abbattuto in maniera sostanziale il costo di produzione di un mezzo, rendendolo accessibile a tutti e rendendolo un prodotto di massa. In questo modo si è affermato lo standard che oggi abbiamo, che non è detto che fosse quello più efficiente.
Nel frattempo, nel mercato dell'auto com'è adesso qualcosa si sta muovendo ma non è sicuramente abbastanza.
Una questione di metriche: come calcolare l'impatto di un birrificio
Come vedevamo il futuro dell'auto
Corriere della Sera, 9 luglio 1964
Corriere della Sera, 9 luglio 1964
Corriere della Sera, 7 luglio 1978
Corriere della Sera, 7 luglio 1978
New York Times, 29 gennaio 1967
New York Times, 29 gennaio 1967
New York Times, 2 aprile 1959
New York Times, 2 aprile 1959
Il trasporto a lunga percorrenza
L'impatto che si genera nel trasporto aereo è molto superiore rispetto a quella dell'auto. Alcuni dati ci dicono che su un trasporto medio di circa 88 passeggeri, abbiamo emissioni per 285 grammi di CO2 per passeggero per chilometro. In un auto le emissioni sono circa 42 grammi a passeggero a chilometro. E allora la soluzione qui quale potrebbe essere? Sicuramente un mix di efficienza, tecnologia e ancora una volta di cervello.
Il trasporto navale
Sappiamo che circa il 90 per cento delle merci viaggia sulla base del trasporto marittimo. Inoltre sappiamo che il 10-12 % del totale delle emissioni di trasporto, sono legate al trasporto navale. Di questo, il 40 per cento - in peso - è legato al trasporto di combustibili fossili ovvero gas petrolio e carbone.
Ed ecco che improvvisamente si compone un puzzle che ci dice che l'elemento importante è che noi personalmente possiamo mettere in questa transizione, è cominciare a ragionare un po' fuori dagli schemi. Perché la tecnologia è una risposta ma non è l'unica.
Nell’incrocio tra finanza e tecnologia una direzione la indica Larry Fink, il numero uno della più grande società di investimento al mondo, Blackrock. Nella sua ormai consueta lettera annuale ai CEO di mezzo mondo c’è un passaggio che vale la pena sottolineare
“Le prossime 1.000 imprese unicorno – quella non ancora quotate in borsa ma che valgono più di 1 miliardo – non saranno motori di ricerca o social media, bensì innovatori sostenibili e scalabili; startup che aiutano il mondo a decarbonizzarsi e rendono la transizione energetica accessibile a tutti i consumatori”.
Allora vi vogliamo lasciare con le parole di chi cerca di trasformare la fantascienza in realtà. È Kirsten Dunlop, CEO di Climate Kic, un acceleratore – come si dice in gergo – di startup cleantech quelle che puntano proprio a cercare soluzioni alla crisi, attraverso l’innovazione.
Il futuro secondo Kirsten Dunlop, CEO di Climate-Kic
Il futuro secondo Kirsten Dunlop, CEO di Climate-Kic