La via del vento

Un viaggio per scoprire a che punto siamo con le rinnovabili: dall'esempio della Danimarca agli esperimenti nel Mediterraneo

Lo spazio è stretto, la scala è verticale. Per raggiungere la cima della pala eolica bisogna arrampicarsi per sette piani. Una volta raggiunta la vetta, a circa 50 metri di altezza i portelloni della navicella si schiudono lentamente. Ma prima di abbandonarsi alla vista del panorama, bisogna stare attenti a dove si mettono i piedi: un passo fuori posto e scatta l’allarme. Il panorama è quello sospeso tra il verde dei prati e il blu del mare dell’isola di Samsø, in Danimarca. Al centro del Paese e allo stesso tempo in mezzo al nulla. Siamo venuti fin qui per scoprire un esempio di come nel giro di pochi anni, – sfruttando il vento – sia possibile rinunciare ai combustibili fossili, responsabili dei gas serra che cambiano il clima.

L’isola verde


A Samsø di eolico se ne intendono. È anche grazie alle pale che l’isola è diventata la prima al mondo del tutto autonoma dal punto di vista energetico.

Tutto è iniziato a metà degli anni Novanta, quando ognuno dei 4300 abitanti dell’isola, tra riscaldamento a petrolio ed energia ottenuta dal carbone, immetteva nell’atmosfera una media di 11 tonnellate di anidride carbonica all’anno. 

Per intenderci: oggi, lo stesso dato, riferito alla Cina, è di poco più di 7 tonnellate. Così, nel 1997 Samso viene scelta dal governo con un compito ben preciso: diventare un esempio di transizione energetica. Senza fondi speciali e senza sussidi.

Mai così economiche

Ma la Danimarca non è poi così lontana. Le soluzioni per la transizione energetica sono già a disposizione di tutti. Nonostante la pandemia il mercato delle rinnovabili è in grande espansione in tutto il mondo. Se un tempo le energie “pulite” erano accusate di causare aumenti nelle bollette, oggi sono le fonti più economiche. Il vento, in particolare, secondo le previsioni dell’Agenzia internazionale dell’Energia, diventerà nel 2027 la principale fonte in Europa.

La potenza dell’offshore

Nel 2002 l’isola ha fatto un altro passo decisivo verso la transizione e cioè l’installazione di dieci pale eoliche offshore. A circa tre chilometri dalla costa. Rispetto a quelle sulla terraferma sono più grandi e più costose sia da installare che da mantenere. 

Ma mare aperto vuol dire ovviamente più vento con la possibilità di mettere dispositivi più grandi e che quindi producono più energia.

Energia che serve a Samsø per compensare le emissioni di macchine, autobus e trattori che circolano sull’isola così come dei traghetti che la collegano con il resto del Paese. Resto del Paese a cui, tra l’altro, l’energia in eccesso prodotta dalle pale offshore viene venduta.

Come funziona una pala eolica

Come funziona una pala eolica

L'isola artificiale

Il Paese che per primo, trent’anni fa, ha installato una pala eolica in mare adesso punta a un altro traguardo: costruire un’isola artificiale interamente dedicata alla produzione di energia verde. L’isola sarà grande quanto diciotto campi da calcio e sarà collegata a centinaia di pale eoliche in mare. Secondo il Progetto, già approvato dal Parlamento, sarà a 50 miglia dalla costa ovest della Danimarca e costerà quasi 30 miliardi di euro. “Nella prima fase di questo progetto potremo fornire energia a 3 milioni di case in Europa, soltanto da questa isola”, spiega Dan Jørgensen, ministro dell’Energia danese: “E nella fase successiva 10 milioni di case in Europa. Inoltre ci dà l’opportunità di utilizzare le energie rinnovabili in modi nuovi. Ad esempio prendendo l’energia verde e pulita dalle pale in mare metterle in una centrale e trasformarla in idrogeno. E dall’idrogeno ottenere carburante liquido che puoi utilizzare su un aereo o su una nave. Così, in pochi anni, potremo far volare un aereo utilizzando le rinnovabili”.

Il progetto dell'isola artificiale (Credit: Concept art/Ministry of Climate, Energy, and Utilities)

Il progetto dell'isola artificiale (Credit: Concept art/Ministry of Climate, Energy, and Utilities)

La crescita delle Rinnovabili in Italia

Mentre Copenaghen guarda al futuro, qual è il nostro presente? In Italia la crescita delle rinnovabili va a rilento. Sull’eolico Paesi come Spagna, Regno Unito, Germania e Francia sono cresciuti molto più di noi negli ultimi anni in termini di capacità installata.

Offshore nel Mediterraneo, a che punto siamo?

Il Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) fino al 2026 mette a disposizione 15,9 miliardi per il comparto delle rinnovabili. Ma non è detto che questi soldi riescano a fare la differenza se si pensa che gli ultimi bandi del Gestore dei servizi energetici, non hanno raccolto grandi offerte. Tra i problemi c’è quello delle autorizzazioni per gli impianti, spesso bloccate da burocrazia e proteste.

Così, intanto, si punta sull’esistente. Eni ha rilevato a luglio scorso 13 parchi eolici onshore. Si tratta di impianti entrati in esercizio tra il 2009 e il 2016 e localizzati in Sicilia, Puglia, Basilicata e Abruzzo (mappa). Enel Green Power ha 600 impianti in tutta Italia dedicati alle Rinnovabili. La maggior parte dei parchi eolici italiani sono tutti sulla terra. Sì perché c’è un limite tecnologico nell’installazione di pale nel mar Mediterraneo. I fondali dei mari del Nord sono poco profondi e permettono l’ancoraggio delle pale. Nei nostri mari invece, le profondità sono maggiori e quindi si devono adottare soluzioni galleggianti con tecnologie che non sono ancora mature.

L’esperimento di Napoli

Uno degli esperimenti più interessanti viene condotto al largo di Napoli dal Cnr in collaborazione con Saipem. Un progetto finanziato dal ministero per lo Sviluppo economico che ha portato all’installazione del prototipo di una turbina eolica su una piattaforma galleggiante, affiancata da un laboratorio. Di esperimento storico parla Claudio Lugni, ricercatore del Cnr: “È la prima volta che viene fatta una cosa del genere. L’idea è quella di avere un laboratorio a mare nel quale possiamo provare i dispositivi per le energie rinnovabili marine.

L'esperimento di Napoli

L'esperimento di Napoli

Soluzioni promettenti in fase di studio e soluzioni già a portata di mano. Ma se il nostro Paese continuasse a tenere il passo attuale sulle rinnovabili, l’Italia impiegherebbe 70 anni a raggiungere gli obiettivi fissati per il 2030 sul taglio delle emissioni. Obiettivi fissati da leggi e trattati internazionali. Insomma, la lotta alla crisi climatica passa anche da come cambia il nostro modo di produrre energia. Una conversione che può creare posti di lavoro, far risparmiare soldi in bolletta e migliorare l’ambiente che ci circonda.

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