Una questione di parole. E di giustizia
Tutte le negoziazioni hanno regole di ingaggio più o meno simili: il bluff, la ritirata strategica, il rilancio. La negoziazione climatica non fa eccezione. Ci sono momenti in cui tutto si riduce a un'unica parola. E per colpa di quell'unica parola, rischia di saltare tutto.
Copertina
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“Non abbiate paura, non siate spaventati, è solo carbone, carbone australiano”
Nel 2017 l’allora ministro Scott Morrison, ora premier australiano, si presentò con un pezzo di carbone in mano in Parlamento. Al di là della provocazione, è vero che la questione carbone è centrale nella crisi climatica. Molto sta in come abbandonarlo.
Alla Cop26 il carbone ha guadagnato il centro del proscenio proprio nel giorno finale, ma in modo, una volta ancora, legato alle parole e che, una volta ancora, va letto in controluce
Dopo lunghe trattative il documento finale di Glasgow è stato approvato (cosa è stato deciso). L'intesa è stata raggiunta accettando la richiesta dell'India di sostituire il termine "phase out" (eliminazione) dal carbone per la produzione energetica con il termine "phase down" (diminuzione).
Quindi, la questione del cambio di lessico nascondeva un altro fronte negoziale importantissimo: quello del cosiddetto loss and damage. Di cosa si tratta? Ce lo spiega Stefano Caserini, docente di mitigazione dei cambiamenti climatici al Politecnico di Milano.
Immaginate che il vostro vicino scarichi l'acqua sporca della sua lavatrice nel vostro salotto. Sicuramente cercherete, come prima cosa, di interrompere questo scarico. E questa azione va vista come un'azione di mitigazione. Un'altra cosa che potreste fare è cercare di adattarvi allo scarico: e quindi magari spostando il tappeto più bello o i mobili più pregiati. E questa potrebbe essere vista come un'azione di adattamento. L'altra cosa sicuramente che farete è quella di chiedere di essere rimborsati per i danni. In questo sta il loss and damage. Non occuparsi soltanto di prevenire il problema ma anche chiedere un rimborso per i danni già avvenuti. Nel caso del loss and damage, i danni del cambiamento climatico. Così come un giudice a cui vi rivolgereste, nel caso dello scarico della lavatrice, non avrebbe dubbi a condannare chi ha scaricato nel vostro salotto a pagare i danni, così anche dal punto di vista del loss and damage c'è un motivo di giustizia, una motivazione etica per rimborsare le persone più colpite dai cambiamenti climatici. Sono le persone più povere e i paesi più poveri. L'implementazione concreta del meccanismo del loss and damage è più problematica. Innanzitutto è difficile definire l'elenco dei paesi che possono essere ammessi a queste compensazioni. Poi anche vedere come definire l'entità del rimborso e anche come devono essere utilizzati questi fondi. Un ultimo problema poi è evitare che i soldi che vengono destinati al loss and damage vengano spesi per altro. Perché non è difficile immaginarsi che in certi Paesi si danno dei fondi con l'obiettivo nobile di darlo alle persone colpite dai cambiamenti climatici. Ebbene c'è il rischio che questi fondi finiscano ad altro. Finiscano alla corruzione o possano essere utilizzate anche per le spese militari.
Il loss and damage è un principio sacrosanto e condiviso ma difficile da realizzare. I paesi già colpiti dai cambiamenti climatici hanno spinto per decenni per inserire la questione dei costi sociali ed economici del riscaldamento globale nell'agenda dei colloqui delle Nazioni Unite.
Le nazioni ricche, storicamente responsabili della maggior parte delle emissioni che provocano il riscaldamento del pianeta, hanno resistito, temendo che qualsiasi impegno potesse equivalere ad accettare responsabilità legali e potesse aprire la porta a massicce e non immediatamente calcolabili richieste di risarcimento.
Le resistenze sono arrivate proprio dall’Unione Europea. Ne abbiamo chiesto conto a Frans Timmermans, vicepresidente della Commissione Europea e Commissario al Green Deal, che ci ha risposto anche sulla proposta delle Barbados.
"Tutti abbiamo dei danni. Tutto il mondo ha dei danni ma non tutti possono pagare per i danni e dobbiamo dimostrare che siamo solidali con i Paesi che non sono in grado di pagare e questo è anche stato di intervento dell'Unione europea. Qui non eravamo d'accordo con gli americani li abbiamo spinti su questa questione ma per essere sicuri di sapere esattamente quali sono i danni quali sono i rischi".
La Climate Finance è al centro della negoziazione climatica. Per quanto fondamentale, il fondo da 100 miliardi di dollari all'anno che era stato promesso e non mantenuto, è solo una piccola parte del volume di affari che muove la finanza ogni giorno. La lotta al cambiamento climatico, infatti, deve coinvolgere gli investitori di tutto il mondo, anche alla luce della crescente consapevolezza che un investimento sostenibile, è vantaggioso in quanto meno rischioso.
Tutto quello che abbiamo raccontato fin qua è solo una parte di quello che è successo a Glasgow. Ci sono cose molto importanti, sia dentro il Climate Pact, sia che sono avvenute nei giorni della COP, che rischiano di avere un impatto enorme sul processo negoziale. Dall'accordo sul metano a quello sulla deforestazione, dall'intesa Usa-Cina al cosiddetto Articolo 6.
Il vero filo rosso che emerge è che questa è una crisi che genera e acuisce enormi disuguaglianze. In effetti, se si chiede a Patricia Espinosa quale sia l’impegno più difficile del suo ruolo (lei è il segretario esecutivo, il vertice insomma della UNFCCC), ecco cosa risponde.
Per quanto non certo un meccanismo perfetto, la COP è l’unica strada che garantisce la partecipazione. Ce lo conferma il modo in cui combattono i giovani proprio come Vanessa Nakate, ugandese.
Abbiamo iniziato con l’importanza delle parole, e con le parole chiudiamo. Quelle che hanno colpito il mondo, a Glasgow, di Breanna Fruean, arrivata là dalle Isole Samoa a dire: "Non stiamo annegando, stiamo lottando".