Le magie di Simone Biles in pedana, fuori dal buio con un volteggio

Dopo 540 gradi attorno alla sbarra e uno scatto in verticale, una mezza piroetta completa un Wilhelm Weiler perfetto. Così, almeno, lo insegnano a tutte le ginnaste. Ma Simone Biles non è nata per seguire schemi rigidi. Agli spettatori della Bercy Arena di Parigi, l’atleta statunitense presenta una variante inedita del movimento che prende il nome dallo sportivo canadese che innovò la disciplina negli anni ’60, concludendolo con una torsione completa. Un primato per una ginnasta donna e il sesto movimento nella ginnastica ad adottare il suo nome. Simone Biles. Che, dopo 4 ori su 7 medaglie olimpiche e un ritiro per curare la propria salute mentale, a 27 anni affronta una nuova Olimpiade non solo per inseguire nuovi record. Ma anche, soprattutto e finalmente per amore della ginnastica. Un'infanzia alla rincorsa Biles, nota ai più per le vittorie e per il ritiro dovuto a problemi di salute mentale, non è sempre stata la migliore ginnasta della storia. Si è iscritta al primo corso all’età di 6 anni. Troppo tardi per reggere il confronto con le giovanissime atlete che prendevano lezioni da quando hanno iniziato a camminare. Fare prima, però, sarebbe stato impossibile: la tossicodipendenza della madre l’ha costretta fino ai cinque anni a entrare e uscire dai programmi di affido di Columbus, cittadina nell’Ohio che le ha dato i natali. Finché nel 2003 l’hanno adottata, assieme alla sorella minore Adria, il nonno materno Ron e la moglie Nellie. Con loro si è trasferita a Spring, in Texas, dove ha mosso i suoi primi passi nella ginnastica. Fra la trave, il corpo libero, il volteggio e le parallele, ha subito avuto due intuizioni. Numero 1: sarebbe stato molto il lavoro da fare per colmare il divario con le coetanee. Numero 2, più importante: sprecare quel talento sarebbe stato un enorme peccato. La consacrazione a Rio de Janeiro Le ispirazioni non mancano: a incantarla, in televisione, sono le prodezze delle Fierce Five . Gabrielle Douglas, McKayla Maroney, Alexandra Raisman, Kyla Ross e Jordyn Wieber. La squadra statunitense di ginnastica artistica che alle Olimpiadi di Londra 2012 vinse l’oro nella competizione a squadre e fece incetta di medaglie. Sulle loro orme, a Biles è bastato un solo anno per raggiungere il primo record diventando, con la vittoria del mondiale all-around, la prima ginnasta afroamericana a ottenere il titolo iridato individuale. La consacrazione è arrivata nel 2016, quando la ginnasta ha sbalordito il mondo con i movimenti presentati ai Giochi di Rio de Janeiro. A parlare per lei è il medagliere: quattro ori e un bronzo nella stessa edizione. Ma assieme ai risultati, nella vita di Biles, si è insinuata anche la fama. Internazionale e senza tregua. A 19 anni, le vittorie senza precedenti e l’inattesa celebrità l’hanno costretta a porsi domande, sempre più asfissianti, sul proprio futuro. Twisties e abusi: Biles sprofonda nel buio Si chiamano twisties. Torsioni, per l’appunto. Ma del pensiero, che costringono Simone Biles a blocchi mentali e a disorientamenti spaziali acuiti dai movimenti estremi del volteggio. Malesseri che l’accompagnano fino all’appuntamento, ritardato di un anno, con le Olimpiadi di Tokyo nel 2021. Quando, sempre in mondovisione, la obbligano al ritiro che ha fatto parlare dell’atleta per mesi. I Giochi, a dire il vero, erano iniziati con la qualificazione della ginnasta alle finali di tutte le quattro competizioni individuali. Ancora una volta l’unica a ottenere l’agognato traguardo. Ma gli occhi più esperti, di fronte a un volteggio conclusosi quasi con una caduta, si erano già accorti che qualcosa si stava incrinando. D’un tratto, l’annuncio come un fulmine a ciel sereno: ritiro per curare la propria salute mentale. Prima dall’ all-around, poi dal volteggio, dalle parallele simmetriche e dal corpo libero. Biles gareggia solo nella trave: medaglia di bronzo. Ma poco importa dei risultati quando giornali e appassionati parlano solo delle sue ansie: c’è chi esalta l’esposizione della sua vulnerabilità e chi, al contrario, la critica per aver abbandonato le competizioni senza infortuni. Non fisici, perlomeno. In realtà, la precarietà della sua salute mentale affonda radici lontane dalle Olimpiadi di Tokyo. Legate, certamente, anche agli abusi subiti da Larry Nassar, l’ex medico della squadra di ginnastica statunitense, denunciato per vari reati e condannato nel 2018 a una pena minima di 40 anni e massima di 175 per le violenze perpetrate ai danni di centinaia di atlete, spesso ancora bambine. A poco, per la salute di Biles e delle altre ginnaste coinvolte, sono serviti i risarcimenti ottenuti dopo anni di dibattimento in tribunale. Parigi 2024: un'Olimpiade dal sapore diverso Così, per la prima volta dall’esordio nella sua Spring in Texas, Biles si ferma. Rimanendo, però, in prima fila nella sensibilizzazione alla cura della salute mentale: la ginnasta parla di ansia, di terapia e di farmaci, senza nascondere il suo uso – mai finora interrotto – di Lexapro . Negli anni della pandemia, la ginnasta conosce il giocatore di football americano degli Houston Texans Jonathan Owens. E scoppia l’amore. Nato nel 2020 grazie a un’applicazione di appuntamenti a invito, cresciuto guardando film a distanza in quarantena e sancito dal matrimonio celebrato nell’aprile del 2023. Dopo anni, torna il sorriso e tornano gli allenamenti per inseguire di nuovo i cinque cerchi. La convocazione alle Olimpiadi, la terza nella sua carriera, arriva senza problemi e oggi Biles è pronta a incantare – da favorita – il pubblico di Parigi. Aggiungendo, magari, nuove medaglie al suo palmares e una torsione al suo Wilhelm Weiler. Ma se non dovesse riuscire, andrà bene lo stesso. Parola di Simone Biles.

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