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Qatar 2022, Messi con la "bisht" l’ultima intromissione dell'emiro

Sport

Giuseppe De Bellis

©Getty

Impacchettata, infiocchettata e regalata la finale e tutto sommato l’intero mondiale dal punto di vista calcistico, resta tutto il resto. A cominciare dalla fine. Da quel gesto di chiedere al capitano dell’Argentina campione di indossare la sopravveste celebrativa qatarina, prima di alzare il trofeo davanti al mondo intero

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La finale Argentina-Francia la prendiamo la impacchettiamo, la infiocchettiamo e ce la regaliamo. Il dono più prezioso che il calcio potesse fare a se stesso e a noi. Una partita memorabile, piena di tutto. Impacchettata, infiocchettata e regalata la finale e tutto sommato l’intero mondiale dal punto di vista calcistico, resta tutto il resto. A cominciare dalla fine. Da quel gesto di chiedere al capitano dell’Argentina campione di indossare la bisht, la sopravveste celebrativa qatarina, prima di alzare il trofeo davanti al mondo intero. Con sul palco l’emiro Tamim bin Hamad al-Thani e il presidente della Fifa Infantino. Un simbolo della cultura del Paese ospitante che viene ostentato nel momento della celebrazione massima della competizione, quello in cui l’orgoglio nazionale della squadra vincitrice si traduce nella foto simbolo del capitano che alza la coppa. Domenica era un giorno di celebrazioni del mondo arabo e quella sopravveste è emblema di vicinanza, amicizia e onore. È stato quindi un dono gentile. Bene, eppure non era mai successo in 92 anni di storia del mondiale, che pure si è giocato in molti luoghi in cui tradizioni e usi avrebbero potuto essere evidenziati nel momento della celebrazione della vittoria. Non è mai successo perché la Fifa, specie in era moderna, non ha mai voluto che alcunché invadesse l’aspetto sportivo nell’atto conclusivo della competizione. Semmai succedeva dopo, spontaneamente durante i festeggiamenti (celebre il sombrero di Pelé nel giro di campo di Messico 70). Ciò ha alimentato il mito di quel momento “puro”. 

Messi prima della premiazione - ©Getty

Stavolta, invece, è stata la Fifa stessa a incentivare, a rendere plastica, evidente, manifesta la connessione tra quell’istante e il Paese ospitante. Era necessario? No. Era opportuno? No. È la fine di tutto quello che abbiamo visto finora, è un’inaccettabile intromissione, ultimo e piccolo tassello di una storia non bella, che parte da ciò che abbiamo saputo tutti dell’assegnazione di questo mondiale. Perché un pezzo di questa Coppa era stata giocata già molto prima di cominciare, prima dell’assegnazione da parte della Fifa al Qatar, poi durante quei giorni e negli anni che hanno seguito. L’entusiasmo iniziale per la prima Coppa in Medio Oriente, per un Paese del nuovo mondo ultra ricco e ultra efficiente, per l’apertura del calcio a un nuovo mercato che in più di un senso ha cambiato il calcio degli ultimi 20 anni. Poi i dubbi: sulle modalità dell’assegnazione, sulle ombre che proprio la vittoria del Qatar ha portato nel sistema FIFA con la fine dell’era Blatter, sul clima che ha reso necessario giocare in inverno condizionando una stagione. Poi le polemiche: per un Paese che è ultra ricco e ultra efficiente sì, ma che si è macchiato di accuse di sfruttamento e di neo schiavismo e che non ha dato risposte sulle migliaia di morti di lavoratori che stavano costruendo le infrastrutture del Mondiale, un Paese in cui i diritti umani e civili non sono rispettati. 

 

Tutto questo è stato evidenziato all’inizio della competizione, con la Fifa che si è prima giustificata e poi ha addirittura accusato di ipocrisia tutto il resto del mondo. Su una cosa si può concordare con il vertice del calcio mondiale: si sono disputate le Olimpiadi in Cina, in un’era in cui eravamo già totalmente consapevoli e consci di quanto in Cina i diritti siano una chimera. E si può anche pensare che eventi come il Mondiale possano aiutare Paesi che non rispettano molti diritti a uscire da questa condizione tramite il confronto tra culture. È accaduto questo negli ultimi 30 giorni? Lo sapremo tra un po’. Ciò che sappiamo adesso è che il Qatar si è voluto mostrare, con tutta la sua forza, il suo denaro, i suoi volti, le sue idee. Molte di queste idee non sono accettabili per noi. Indossare una veste non lede la sensibilità di nessuno, ma lascia in questo caso il dubbio che su un palcoscenico così sia stato il dettaglio finale di una autoaffermazione: su quel palco c’era chi ha pagato tutto questo spettacolo, colui che ne ha beneficiato (la Fifa), il vincitore che deve alzare la coppa e che incidentalmente è anche dipendente del signore che ha pagato tutto (Messi). Sarebbe stato più bello lasciare a Messi quel momento tutto per sé, per la sua storia, per l’Argentina, per gli argentini.