Fabio Caressa su Money Road: "Accettare le debolezze altrui, senza giudizio". L'intervista

Nei panni del perfetto storyteller, così come lo ha definito Antonella d’Errico, Executive Vice President Content Sky Italia, nel corso della presentazione ufficiale del programma, Fabio Caressa ci conduce attraverso un viaggio che da uno strategy game ambientato nella giungla malese tra mille difficoltà , diventa un inedito esperimento sociale in cui è facile immedesimarsi nei dodici partecipanti e nelle loro discutibili scelte. Farlo senza giudizio è parte del gioco, una scommessa dai risvolti psicologici interessanti. "La vita ti mette davanti a determinate situazioni in cui si è portati a cambiare idea anche a seconda di come ci si è svegliati quella mattina, di ciò che si sta affrontando, non si può essere degli assolutisti, bisogna accettare le debolezze degli altri, si può avere un opinione, ma non un giudizio morale", ci racconta il conduttore, amatissimo volto Sky, al suo esordio assoluto nella conduzione di un show di intrattenimento. La sua prima reazione davanti alla proposta di condurre Money Road? In generale la mia prima reazione quando mi propongono una cosa è accettare e farla subito, non sto lì a pensarci più di tanto, mi butto perché sono uno a cui piace moltissimo mettersi alla prova e riscoprirsi in ruoli diversi. Ha chiesto consigli a sua moglie, Benedetta Parodi? Ma certamente sì, innanzitutto le ho chiesto cosa volesse dire lavorare non in diretta come sono abituato a fare io, ma in un programma dove tutto è montato come in questo caso. Le ho chiesto come relazionarsi con gli autori, che tono utilizzare, quando o come crearsi uno spazio personale di azione e quando invece attenersi al copione. Ho imparato tantissimo, nessuno nasce imparato. Io e mia moglie abbiamo un continuo interscambio da questo punto di vista. Cosa si è portato a casa di questa avventura? La conferma fondamentale che nella vita, per riuscire a raggiungere gli obiettivi, bisogna imparare a lavorare in gruppo, se non si lavora in squadra alla fine gli obiettivi non si raggiungono. Il successo di un singolo in genere è effimero. E questa consapevolezza mi viene dallo sport, anche quando si tratta di sport individuali, pensiamo a Sinner, è necessario avere alla base una squadra che lavora insieme. Questo è un discorso che vale nel business come nella vita di tutti i giorni. Secondo me, in un mondo che ci porta sempre più alla singolarità, la capacità di lavorare in team, andrebbe reintrodotta; d’altro canto il gruppo non deve pensare di dominare sul singolo ed escludere l'indipendenza di ognuno. Il segreto è rispettare la personalità di ognuno, quando questo accade, le cose poi funzionano. Come è andata con i partecipanti? Da un lato c’è stato un grande coinvolgimento, potevo capirli perfettamente, avendo partecipato a Pechino Express riuscivo a capire le difficoltà, i disagi, i momenti più duri, sia a livello fisico che psicologico, mi sono ritrovato in comunanza, ma dall’empatia c’era il giusto distacco filosofico: coinvolgersi sì, ma senza farsi travolgere. Come trovare il giusto equilibrio tra egoismo e altruismo? Senza andare troppo in alto, credo che nella nostra realtà siano due le parole chiave che andrebbero rivalutate, la prima è gentilezza, qualcosa che oggi si è persa. Se sei gentile anche con chi inizialmente può sembrarti scorbutico, è molto probabile che con tempo questa persona diventerà gentile con te creando così una catena positiva che si autoalimenta. La seconda parola è il rispetto, bisogna averne nei confronti degli altri e di ciò che fanno. Se riesci ad avere rispetto per tutto questo, sarà molto più facile che gli altri rispettino quello che fai tu. Anche il tema del giudizio è al centro del programma. Sì è un tema centrale proprio perché non ci sarà nessun giudizio, ma solo l'invito a pensare alle scelte e alle conseguenze, osservando le quali peraltro anche il pubblico sarà portato a immedesimarsi nei protagonisti. La domanda che viene da farsi è cosa avremmo fatto noi al posto loro. E anche per me, nonostante vivessi a stretto contatto con ognuno di loro, le loro decisioni erano ogni giorno imprevedibili. Immedesimarsi dal punto di vista dello spettatore è molto interessante. Un aneddoto divertente che può raccontarci? Ce ne sono diversi di molto divertenti, tra questi un episodio in cui partecipanti saranno costretti ad affrontare una zona di trekking molto difficile, piena di sanguisughe, devo dire che fanno veramente ridere, perché un conto è metterli al corrente di ciò che li aspetta, un altro è viverlo e subirne letteralmente l’assalto. Ho assistito a reazioni veramente esilaranti. L’atto più altruista che ricorda di aver compiuto? Nel lavoro è capitato di aver rinunciato ad alcune possibilità per permettere ad altri di crescere e di far fare ad altri esperienze che non avevano fatto. In generale ritengo di essere un altruista, almeno cerco di esserlo. La tentazione più forte a cui non ha saputo resistere e quella a cui non si è lasciato andare. In realtà tendo a essere una persona piuttosto controllata e in fatto di tentazioni, le uniche a cui cedo di più e volentieri, sono quelle gastronomiche di mia moglie, ammetto che sono irresistibili. Se Money Road fosse un piatto da gustare davanti a una serie tv? Sarebbe sicuramente un bel pollo al curry un po' speziato con agrumi da assaporare davanti a Lost.

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Fabio Caressa su Money Road: "Accettare le debolezze altrui, senza giudizio". L'intervista