Adolescence, la serie Netflix sintesi perfetta tra forma e contenuto

“Adolescence”, la nuova miniserie di Netflix, rappresenta un punto di incontro tra forma e contenuto. Dura solo quattro episodi, e ogni episodio è stato girato in piano sequenza. Questo significa che non ci sono né pause né stacchi nel montaggio e che tutte le scene sono state riprese senza nessuna interruzione. Per riuscirci, il cast artistico e tecnico di “Adolescence” ha dovuto provare per diverse settimane, solo per essere il più sicuro possibile di non dover ricominciare daccapo. Girare in piano sequenza rende una storia ancora più immersiva e realistica per lo spettatore, proprio perché non gli permette di rallentare o di soffermarsi su un determinato momento: succede tutto come in un flusso continuo. Un regista esperto del piano sequenza Per Jack Thorne e Stephan Graham, i due creatori, era fondamentale riuscire a raggiungere questo livello di concretezza. Non a caso come regista è stato scelto Philip Barandini, che già in passato si era distinto per le riprese di diversi piani sequenza. L’altro elemento più importante di “Adolescence” è la storia. Il protagonista, interpretato da Owen Cooper, un quasi esordiente, è un ragazzino di 13 anni che viene accusato di omicidio. Il racconto viene ripreso da diversi punti di vista: quello della polizia, quello della scuola, della psicologa che gli viene assegnata e quello della famiglia, che deve fare i conti con le conseguenze di quanto avvenuto. Questi punti di vista seguono la divisione degli episodi, e così ogni puntata si svolge in ambienti e situazioni molto differenti rispetto alle altre. L'importanza delle interpretazioni Graham, che interpreta anche il padre del protagonista, ha ribadito più volte nel corso delle varie interviste l’importanza delle interpretazioni dei singoli attori. Perché sono quelle, in alcuni momenti, a rendere non solo l’andamento del racconto convincente ma pure a sostenere l’intera serie. “Adolescence” è piena di piccole cose, dettagli, di microespressioni. Contano i secondi in cui la camera indugia sulla faccia degli attori, e allo stesso tempo contano quelli in cui la camera si sposta, fluida e veloce, e si riallaccia a un’altra scena. È una serie in divenire, “Adolescence”. E non per modo di dire. Non rallenta mai, non frena, non cerca di dare al pubblico un modo per mettere chiaramente a fuoco ciò che sta succedendo. Dice tutto, lo dice rapidamente, quasi vomitandolo addosso allo spettatore, e poi, con lo stacco della fine dell’episodio e i titoli di coda, lascia il posto ai pensieri e alle singole considerazioni. Impossibile rimanere impassibili Insomma, la decisione di girare tutto in piano sequenza riesce solo fino a un certo punto a contenere il giudizio e la coscienza del pubblico. Perché è impossibile rimanere impassibili davanti a ciò che accade nella serie. Soprattutto, è impossibile rimanere impassibili davanti ad alcuni scambi, alla loro franchezza brutale e alla carica emotiva delle varie interpretazioni. E il paradosso è che le sequenze più intense, quelle più travolgenti, non sono costruite intorno all’azione o ai grandi movimenti di macchina. Sono, al contrario, i confronti, i dialoghi, i momenti in cui gli attori abbassano la voce, sussurrano, e cercano di parlarsi senza farsi notare dagli altri. Oppure, come capita nel terzo episodio, in cui si urla, in cui il protagonista incontra una psicologa . Un'esperienza completa, senza limiti Ha assolutamente senso provare a riflettere su “Adolescence” partendo dai temi che tratta. E quindi dal distacco profondo che spesso si crea tra scuola, famiglia e ragazzi; dall’uso tossico che a volte si fa dei social; dall’idea sempre più ripresa e sostenuta di machismo. Ma è anche vero che questa serie, per la sua natura, per il modo in cui è stata scritta, pensata e girata, si presta come un’esperienza completa. Che non ha nessun limite né per quanto riguarda il peso degli argomenti trattati né per quanto riguarda la qualità del lavoro artistico e attoriale. Una piccola rivoluzione “Adolescence”, come dicevamo all’inizio, è la sintesi perfetta tra forma e contenuto. E non va elogiata banalmente per ciò che, dal punto di vista tecnico, riesce a ottenere. Va presa nella sua interezza, compresa a fondo, e contestualizzata in un momento storico preciso. Girare una serie del genere è, per tanti motivi diversi, una piccola rivoluzione. Netflix non l’ha pubblicizzata . E se ha trovato il suo pubblico, è stato innanzitutto grazie al passaparola. Segno che le buone storie funzionano comunque. Con o senza il sostegno dell’algoritmo.

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