A casa tutti bene, la recensione della prima serie tv di Gabriele Muccino

Serie TV

Gabriele Lippi

Dal cinema alla tv, con una trama ampliata, un nuovo cast, nuove caratterizzazioni dei personaggi. E un racconto più trasversale, che gioca col cinema di genere e con sottotrame tra il thriller e il crime. Il convincente esordio del regista nella serialità con la produzione Sky Original

Ci sono tanti modi diversi di raccontare una storia. E poi c’è la libertà sacrosanta di ogni autore di prendere una storia e manipolarla, scegliendo quali elementi mantenere fedeli all’originale e quali altre variare o aggiungere. Nel mettersi al lavoro sulla sua prima serie tv, partendo dal materiale di un suo film di successo di qualche anno prima, Gabriele Muccino ha scelto la seconda strada. A casa tutti bene – La serie, produzione Sky Original, ha lo stesso titolo e gli stessi personaggi del film del 2018, ma gioca con le caratterizzazioni e con gli eventi, uscendo dal canovaccio precedentemente tracciato e dando un respiro ancora più ampio alla narrazione.

A casa tutti bene, la trama

A casa tutti bene racconta la storia di una famiglia divisa in due rami, i Ristuccia e i Mariani, una dinastia dell’alta borghesia romana. Tutti si ritrovano al ristorante di famiglia, il San Pietro, per festeggiare il compleanno di Pietro, patriarca dei Ristuccia. Ma la festa si trasforma presto in occasione ideale per far emergere problemi e rancori irrisolti che fanno alzare la temperatura della tensione. A fine serata, Pietro si accascia colpito da un infarto. La sua morte porterà all’apertura di un testamento che non farà che esasperare le divisioni e i problemi tra i due rami della famiglia, che si troveranno a scoprire vecchi segreti tenuti nascosti e ad affrontare nuovi guai che rischiano di mettere in pericolo gli affari e la tenuta stessa delle loro famiglie.

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DAL CINEMA ALLA TV

Muccino si mostra a suo agio con un nuovo mezzo, quello televisivo, ancora mai sperimentato, riesce a sfruttarne a pieno il potenziale, dilatando tempo e spazio del racconto, portando i personaggi fuori dall’isolamento un po’ claustrofobico e un po’ confortevole della villa sull’isola del film, aggiungendo altre location, sfruttando la città di Roma, presentandoci per la prima volta il Ristorante San Pietro, che nel lungometraggio del 2018 veniva solo citato e qui diventa centro nevralgico della trama.

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TENSIONI CHE ESPLODONO DA SUBITO

Le tensioni familiari tra i Ristuccia e i Mariani aumentano ulteriormente e la fanno da padrone fin dall’inizio. Non c’è un tappeto di falsa cortesia sotto cui celare le antipatie, i tradimenti e le gelosie maturate nel corso degli anni, qui è tutto alla luce del sole da subito, fin dalla festa di compleanno di Pietro, il patriarca, con cui si apre la serie. La decostruzione dell’utopia dell’ambiente familiare come luogo degli affetti viene di fatto completata e messa in evidenza fin da subito. Persino i legami più stretti, quelli tra genitori e figli, sono soffocati da soprusi, segreti, acredini che hanno radici profonde nel passato.

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PERSONAGGI CHE ASSUMONO NUOVE CARATTERIZZAZIONI

Non pare casuale la scelta di stravolgere completamente il cast, cambiando gli interpreti dei ruoli che nel film erano stati affidati ad attori come Pierfrancesco Favino, Carolina Crescentini, Stefano Accorsi, Claudia Gerini, Stefania Sandrelli, Valeria Solarino, Gianmarco Tognazzi, Massimo Ghini, Sabrina Impacciatore, Tea Falco e Sandra Milo. Un cast tutto nuovo, capitanato da Laura Morante e Francesco Scianna, riscrive personaggi che assumono caratterizzazioni diverse. Così ci troviamo davanti a un Carlo più avido, a una Ginevra (Laura Adriani) meno impulsiva, a una Alba più cupa e meno materna, a una Maria più sofferente.

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LUANA, BEATRICE E SANDRO, UN BRICIOLO DI NORMALITÀ

A colpire è soprattutto l’interpretazione di Emma Marrone, a cui viene affidato il ruolo di una Luana dal cuore gentile e puro, semplice, di origini umili. Uno dei pochi personaggi positivi, così come Beatrice (Milena Mancini), promessa sposa di Sandro (un Valerio Aprea straordinariamente convincente), con cui forma una coppia che offre allo spettatore uno dei pochi squarci di ottimismo e amore in uno scenario di cinismo ed egoismo. Personaggi femminili e persone esterne alla famiglia, non a caso, estranee alla miseria umana in cui si sono ridotti Ristuccia e Marini per inseguire la ricchezza e il proprio tornaconto personale. E rispetto al film, brilla anche una new entry, quella di Giovanni, il figlio di Paolo solo nominato nel lungometraggio e qui presente invece in carne e ossa, quelle del giovanissimo Federico Ielapi, capace di dare profondità alle azioni e al tormento interiore di Paolo (Simone Liberati).

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VENATURE DI THRILLER E CRIME

Muccino prende la sua storia e la fa evolvere in qualcosa di diverso, giocando col cinema di genere, inserendo una linea thriller e un’altra che strizza l’occhio al crime. Sottotrame che prendono strade diverse e occupano spazi diversi, perché se la seconda ha un arco che si apre e si chiude con la vicenda del debito di gioco di Riccardo (Alessio Moneta), la prima pervade invece tutti gli episodi, regalando allo spettatore un sottile e insolito stato di angoscia, svelando nuovi dettagli un po’ alla volta e sciogliendosi solo in un finale convulso e ricco di colpi di scena. Così il regista scavalca i confini del dramma familiare, che si fa tragedia shakesperiana che racconta la lenta e inesorabile caduta di una dinastia verso i più profondi abissi dell'umanità.

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