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Il complotto contro l'America, la recensione del terzo e del quarto episodio

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HBO

Leggi il riassunto e la recensione del terzo e del quarto episodio de 'Il complotto contro l'America'. La miniserie è interamente disponibile On Demand e in streaming su NOW TV. - OVVIAMENTE CI SONO SPOILER PER CHI NON HA ANCORA VISTO GLI EPISODI

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Il complotto contro l’America, cos’è successo nel terzo episodio


Al termine del secondo episodio de Il complotto contro l’America (leggi la recensione) ci eravamo lasciati con la vittoria elettorale a sorpresa di Charles Lindbergh ai danni di Roosevelt. La terza puntata, ambientata alcuni mesi più tardi, si apre con un incubo di Philip (Azhy Robertson), che vede con orrore i francobolli della sua collezione trasformarsi in memorabilia nazisti. Viene addirittura portato dal dottore perché, apprendiamo, non si tratta di un episodio isolato. E scopriamo così che, come lui, anche molti altri ragazzini ebrei hanno nel frattempo sviluppato disturbi del sonno.


Il mondo in cui si sono svegliati dopo le elezioni, in effetti, è diverso da quello che conoscevano: come i membri della famiglia Levin sperimentano sulla loro pelle, gli episodi di antisemitismo negli Stati Uniti si sono fatti frequenti. Lo sa suo padre Herman (Morgan Spector), che passa il tempo a ripulire le scritte ingiuriose dalle lapidi al cimitero ebraico, ma lo sanno un po' tutti gli ebrei americani. E nel frattempo Lindbergh sigla un accordo di non belligeranza con Adolf Hitler, lasciando che la “guerra europea” faccia il suo corso.


Dall’altra parte dell’Atlantico, Alvin (Anthony Boyle) approda a Londra, dove conquista una bella shiksa, ovvero una ragazza non di religione ebraica, che dimostra però una certa confusione quando il ragazzo si trova costretto a spiegarle cosa significhi effettivamente essere ebreo (non per scelta, ma per eredità culturale, come deve puntualizzare).

Proprio ad Alvin viene riservata una buona porzione di questo terzo episodio: lo vediamo infatti impegnato in una missione segreta dell’intelligence britannica per rubare un radar tedesco. Il tentativo, però, non va a buon fine, perché nel corso dell’operazione il giovane perde una gamba.


Mentre la travagliata love story fra Evelyn (Wynona Rider) e Bengelsdorf (John Turturro) procede, la famiglia Levin parte per una gita a Washington, nonostante le perplessità di una sempre più preoccupata Bess (Zoe Kazan). Qui, nonostante le continue rassicurazioni di Herman, i Levin si ritrovano vittime di episodi di intolleranza sempre più evidenti.


A essere terrorizzata dalla situazione è soprattutto Bess, che non per niente mette la famiglia in lista d’attesa per emigrare in Canada, come già fatto da Shepsie (Michael Kostroff), deciso a lasciare gli USA prima che le frontiere vengano chiuse per sempre. Ma Herman non intende abbandonare quella che sente come la propria patria a causa di altri.

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Bengelsdorf, nel frattempo, è messo a capo di un programma governativo che prevede di ricollocare temporaneamente i giovani ebrei in famiglie di campagna, per renderli “più americani”. Sandy (Caleb Malis), interessato a viaggiare, vorrebbe partecipare, ma i genitori sono ovviamente restii. A iscriverlo sarà così sua zia Evelyn, ed Herman alla fine, seppur controvoglia, darà al figlio il permesso di partire per il Kentucky.


Il complotto contro l’America, cos’è successo nel quarto episodio


Il quarto episodio de Il complotto contro l’America compie un ulteriore salto temporale di qualche mese, con il funerale della madre di Bess ed Evelyn. Sandy è tornato dalla sua esperienza estiva nel Kentucky ed è diventato uno strumento attivo di propaganda del programma di Bengelsdorf.

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Proprio questi, assieme a Evelyn, è a cena dalla famiglia Levin, e diventa il protagonista assieme a Herman di un acceso scambio. Fra le altre cose, apprendiamo del passato confederato della famiglia del rabbino: proprio questo punto, assieme alle simpatie di Bengelsdorf per Lindbergh, offre al capofamiglia dei Levin l’occasione per passare all’attacco, ma il personaggio interpretato da John Turturro (scopri i suoi migliori film) non è di quelli facili da sconfiggere in campo dialettico e risponde così colpo su colpo.


Bengelsdorf rivela anche un suo piano personale per ricollocare (su base “volontaria”) le famiglie di origini ebraiche, progetto di cui peraltro sta già parlando con persone importanti. A conferma di quanto il rabbino sia ben inserito arriva un invito a un’altra cena, questa volta addirittura dalla first lady, che li chiama a rappresentare la loro comunità durante un incontro con von Ribbentrop (Orest Ludwig), ministro degli Esteri nazista.


Evelyn, senza curarsi del fatto che tutti gli altri ebrei invitati hanno rifiutato, accetta di buon grado, a patto di poter portare Sandy con sé. Bess ed Herman sono decisamente contrari e hanno uno scontro aperto con il figlio, che fugge dalla zia. Volano parole grosse sia fra Herman ed Evelyn, sia, a casa dei Levin più tardi, fra Herman e Sandy: in particolare quest’ultimo accusa il padre di essere “peggio di Hitler”. L’insulto avrà effetto, tanto da spingere Herman ad andarsene di casa, furibondo, ma varrà anche uno schiaffo al ragazzo da parte della di solito posata Bess.

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Il complotto contro l'America, il cast della serie tv. FOTO

Durante la cena Evelyn non sembra far troppo caso alla bandiera nazista esposta in bella posa, né pare lasciarsi scoraggiare dal disprezzo evidente di Henry Ford (Ed Moran) per gli ebrei. E anzi rimane affascinata dai modi di von Ribbentrop, con il quale si ritroverà addirittura coinvolta in un ballo brioso.


Nel frattempo Herman, che si sente sempre più vicino alle scelte coraggiose del nipote, va a visitare Alvin in ospedale. Trova però un giovane disilluso e profondamente scoraggiato dagli eventi. Nonostante venga avvertito del pericolo che potrebbe correre a causa del suo coinvolgimento nel conflitto, Alvin torna nel New Jersey. Qui, per porre rimedio alla sua nullafacenza, suo zio Monty (David Krumholtz) gli offre un lavoro, ma riceve ben presto pressioni da un agente dell'FBI, che gli intima di licenziarlo.


C’è spazio anche per Philip, che nel corso dell’episodio vede il proprio mondo cedere un pezzo dopo l’altro: la morte della nonna, il ritorno del cugino ridotto a pezzi (nel corpo e soprattutto nello spirito) dalla guerra, il trasferimento dell’amico Earl (Graydon Yosowitz), e come se non bastasse anche la morte del padre di Seldon (Jacob Laval).

 

In confusione, Philip si intrufola in un cinema per vedere un notiziario che mostra sua zia Evelyn al ricevimento. Herman lo trova e, già con i nervi a fior di pelle, è tentato di affibbiargli un ceffone, ma desiste quando comprende che il figlio sta semplicemente peccando di ingenuità, così tenta semplicemente di fargli capire come la loro attuale situazione non sia un gioco.

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Se i primi due episodi de Il complotto contro l’America, ben un terzo della serie, servivano a creare il mondo e a chiarire i presupposti della storia narrata, con la terza puntata si entra nel vivo della vicenda, mostrando gli effetti concreti della vittoria di Lindbergh.


L’ucronia della serie tv HBO comincia così a mostrarsi in tutto il suo orrore. “Sono sempre stati qui, è solo che adesso hanno avuto il via libera”: è questo il senso, peraltro esplicitato, di quanto succede in questo terzo capitolo. Non è che l’odio verso gli ebrei sia emerso da un giorno all’altro negli USA. C’era già, ma ora è istituzionalizzato.


L’idea di “rieducare” gli ebrei per portarli a essere più americani rimanda in maniera diretta a tanti tentativi storici fatti per assorbire culturalmente una minoranza e diluirne l’identità in maniera irrimediabile (è quello che secondo fonti sempre più accreditate sta succedendo con gli uiguri in Cina).


Nel frattempo, nell’episodio del viaggio a Washington della famiglia Levin ci vengono presentate in maniera emblematica le due reazioni tipo di chi si trova davanti a un orrore incombente. C’è chi, come Herman, continua a negare che la situazione sia davvero così tragica, nonostante gli indizi in tal senso non manchino (“Non siamo mica a Berlino”, arriva a dire a una terrorizzata Bess). E poi c’è chi, come per l’appunto Bess, subodorando il peggio comincia a entrare in “modalità sopravvivenza”.


Questo diverso approccio è riconducibile al background dei due personaggi: da una parte abbiamo Herman, che in passato non ha mai avuto grandi problemi a causa della sua religione e che, in quanto maschio, è forse anche più territorialista e per questo fatica a concepire l’idea di dover abbandonare il “suo” paese; dall’altra abbiamo Bess, che come lei stessa ha raccontato in precedenza, era l’unica ebrea del suo quartiere e ha vissuto sulla propria pelle magari non l’odio, ma comunque la diffidenza nei suoi confronti.


Il quarto episodio mostra senza mezzi termini quanto l’atteggiamento di Herman sia slegato dalla realtà. E soprattutto racconta in maniera impeccabile come la politica dell’odio incrini i legami famigliari dall'interno prima ancora che dall’esterno, mettendo parenti e amici gli uni contro gli altri. E a farne le spese più di tutti, come spesso avviene, sono i bambini.

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