5 motivi per cui il ritorno di Twin Peaks è già un capolavoro

Serie TV

Federico Ercole

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Il classicismo che si mischia in modo indissolubile con la sperimentazione. Un montaggio e una fotografia autoriale. L’horror (in)umano. L’uso inconfondibile dei suoni e della colonna sonora. E ovviamente un cast semplicemente perfetto e una storia assolutamente intrigante. Sono solo alcuni dei punti di forza della nuova stagione dell’opera di David Lynch e Mark Frost, in onda su Sky Atlantic i lvenerdì alle 21.15 in versione doppiata, e la notte tra domenica e lunedì alle 03.00 in versione originale sottotitolata

Alla fine David Lynch è tornato. E chiunque sia appassionato di cinema ne sentiva un gran bisogno. Le prime puntate del nuovo Twin Peaks ci mostrano un regista che ha taciuto troppo a lungo e la cui immaginazione esplode scena dopo scena, trasformando ogni momento in qualcosa di memorabile e esemplare, che può disturbare, meravigliare e addirittura indispettire chi non è più abituato a una ritmica così dilatata. Ecco alcuni motivi per i quali la terza stagione è già da considerare un capolavoro.

1) La lentezza della verità

 

© Showtime Networks Inc. All rights reserved.

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Il montaggio è una prassi pericolosa, perché denuncia la dimensione fittizia del cinema più di un effetto speciale in computer graphic. Siamo talmente abituati ai montaggi serrati, virtuosistici e pirotecnici, alcuni dei quali indubbiamente eccezionali, che la pura fissità di un piano fermo su un volto o un panorama può risultare noioso ad occhi fuori allenamento. David Lynch utilizza inquadrature che si prolungano in una sublime inutilità funzionale rispetto ai tempi della televisione e di molto cinema contemporaneo. Non c’è il compiacimento narcisistico, che avrebbe pure motivo di esserci, per un’inquadratura o un movimento di macchina calcolati ad arte, ma la necessità di farci continuare a osservare, di indurre ad attendere per vedere se succederà ancora qualcosa, persino il niente. Anche il nulla diviene rilevante attraverso lo sguardo del regista, un personaggio che ci ricorda con gravità la tirannia del tempo e ribadisce che ciò che stiamo vedendo è vero, fintanto che continuiamo a fissarlo. Il nuovo Twin Peaks ci illude con la sua squisita e faticosa lentezza la realtà di ciò che racconta, malgrado gli extra-galattici voli verso i territori fantastici dell’impossibile e del surreale.

2) Gli attori come super-marionette

 

 
 

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Gordon Craig, teorico e regista di teatro che visse a cavallo tra l’ottocento e il novecento, ha analizzato il concetto di super-marionetta: un attore liberato dal proprio io e in grado di recitare senza l’intralcio della soggettività, attraverso movimenti meccanici perfettamente adeguati al contesto della recitazione. E’ un’utopia, tanto che persino per le scene non-interattive dei videogiochi spesso si scannerizzano i movimenti di veri attori. Eppure sembra che Lynch, lavorando con il suo cast smisurato di oltre duecento attori, sia riuscito in parte a creare una Super-marionetta. L’adesione al ruolo dei personaggi appare totale, gestita da un burattinaio con un talento micidiale. Gli attori appaiono come personaggi numerici, sapientemente mossi da un genio dell’animazione elettronica. E se c’è, ed è molto probabile che ci sia, un margine per l’improvvisazione degli attori, anche questa è precalcolata, indotta quasi per ipnosi, da Lynch.

3) Classicismo e sperimentazione

 

 
 

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Il cinema delle origini, quello dei Lumiere, e successivamente quello di John Ford, è quello della semplicità delle inquadrature: mostrare un oggetto nella maniera più efficace e immediata per coglierne la forma e lo scopo. Un treno che si avvicina, le porte di legno di una stalla spalancate da un cowboy che rivelano la Monument Valley. Anche in Twin Peaks ci sono alcune inquadrature che chiunque potrebbe realizzare, persino con la telecamera di uno smartphone, ma è ciò che vi è mostrato ad essere straordinario, inimitabile. A questo classicismo di un cinema quasi perduto si susseguono poi momenti di sperimentazione estrema e avveniristica, segmenti da telefilm di serie b trasfigurati d’improvviso da intuizioni che infrangono lo schermo televisivo con la loro astrazione.

4) L’horror inumano

 

 
 

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Ci sono momenti che risultano più agghiaccianti di tanto horror cinematografico o videoludico. L’orrore non nasce dall’effetto speciale o dai quei luoghi comuni del cinema che inducono lo spettatore a balzare spaventato sulla poltrona. Lynch lavora sull’atmosfera, sull’attesa, adunando le nubi prima del climax di una tempesta. I suoi effetti speciali sono fotografici, oppure di montaggio e rielaborazione dell’immagine filmata in una maniera che potrebbe essere considerata chimica. Accelerazioni, rallentamenti, inversioni delle immagini contribuiscono a creare un senso di terrore che nasce dalla loro illeggibilità ed esplicita irrazionalità, qualcosa dell’orrore descritto da Lovecraft , quando l’essere umano è in presenza di creature dalla malvagità così cosmica da non poter essere compresa dalla ragione o rappresentata tramite i sensi. La violenza è soprattutto sullo spazio e sul tempo. Per questo fa così paura.


5) Suoni e musica

 

 
 

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Guardare il ritorno di Twin Peaks con il volume basso sarebbe come guardarlo sullo schermo dello smartphone mentre si viaggia su un treno invaso dalla luce del sole. Questo perchè ci potremmo illudere del silenzio di alcune scene quando invece il loro è un suono debole ma drammaticamente potentissimo. Rumori soprattutto, magari registrati in presa diretta e poi trasformati mostruosamente. Ci sono cacofonie di suoni che inquietano e astraggono come le immagini e le parole dei personaggi. Per questo, quando infine si ascolta la musica, questa risulta così viva e paradossalmente ci riporta alla realtà e alla nostra quotidianità. Ecco perchè il finale al Bang Bang Bar è l’unica scena “normale” di tutte le due puntate ed è come se la vita, 25 anni dopo, iniziasse solo in quel momento.

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