In Treatment, Sergio Castellitto e la lunga notte dei miracoli

Serie TV

Barbara Ferrara

Sergio Castellitto © Marta Spedaletti / © Sky / © Wildside
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La seconda stagione di In Treatment, in arrivo su Sky Atlantic il 23 novembre, riparte con 35 nuovi episodi e un cast arricchito da cinque big del cinema italiano. Diretto da Saverio Costanzo, Castellitto riveste i panni del dottor Mari. Aspettando il suo debutto, leggi l’intervista

La versione italiana dell’omonima serie HBO diretta da Saverio Costanzo e firmata Sky torna con una nuova appassionante stagione, dal lunedì al venerdì su Sky Atlantic e Sky Cinema Cult dal 23 novembre. Nello studio di Giovanni Mari, interpretato da Sergio Castellitto, vecchi e nuovi pazienti provano a mettere ordine alla propria vita, raccogliendo, forse, l’invito di Thoreau: farsi esperti di cosmografia interiore, viaggiando, volgendo il proprio sguardo dentro di sé. Alla scoperta di tutte quelle regioni vergini del cuore capaci di offrire nuova linfa, spingere verso nuovi inesplorati orizzonti, dare un senso ai propri affanni emozionali, alle crisi e alle sconfitte.

 

Quello di In Treatment è un lungo viaggio introspettivo in cui la trama è fatta dalle storie, dalle inquietudini e dai rapporti umani dei protagonisti: Barbora Bobulova, Adriano Giannini, Licia Maglietta, Michele Placido, Isabella Ferrari, Alba Rohrwacher, Maya Sansa e Greta Scarano. Un viaggio in cui tutti navigano a vista sotto l’egida di Giovanni Mari, che per primo ha i suoi dilemmi da risolvere, del resto come sottolinea Castellitto: “A uno psicoterapeuta non viene richiesto l’equilibrio a tutti i costi. Anzi il non equilibrio e la sua fragilità sono una benzina, soprattutto se guidati dall’intelligenza e dalla sensibilità. Soltanto apparentemente chi va in terapia si augura di trovare una persona più equilibrata di sé. Mari è un essere umano che ha degli strumenti in più. Lo psicoterapeuta per un paziente è una guida, una specie di cambio automatico, serve a fargli decodificare quello che ha dentro. La seduta in realtà la fa il paziente”.

 

Torna per la seconda volta a vestire i panni del dottor Mari: come ci si sente?
E’ stata un’esperienza molto importante da tutti i punti di vista: umano, personale e artistico. Credo sia anche una scommessa vinta per Sky, una proposta di tale qualità in un’epoca in cui cinema e televisione rincorrono il ritmo a tutti i costi, un certo tipo di ritmo e un certo tipo di racconto, apparentemente fermo, consegnato nelle mani delle parole, e accolto così bene dal pubblico è un buon segno.


Qual è il segreto del successo della serie?
Offrire al pubblico la possibilità di immedesimarsi, rintracciare in quello che vede qualcosa che riguarda la propria vita. In Treatment è una specie di specchio e contemporaneamente una finestra aperta che guarda un mondo che sembra altro da te. E poi improvvisamente quella finestra diventa uno specchio perché quello che guardi e quello che ascolti in qualche misura ti riguarda.


Che pubblico è quello di In Treatment?
Tutto quello possibile e immaginabile. Non è un caso che io dopo la prima stagione venissi fermato dagli psicoterapeuti che mi facevano i complimenti per quello che avevano visto, ma il pizzettaro era altrettanto colpito, i suoi rapporti con la moglie e i figli passavano attraverso qualcosa che aveva visto.


Gli artisti compiono sempre un atto biografico anche quando non parlano di se stessi: lei in In Treatment di autobiografico cosa ci mette?
Lo straordinario ventaglio di emozioni e di sentimenti che appartengono a me, come appartengono a quei personaggi nella misura in cui quei sentimenti sono quelli di un padre, un marito, un amante, un professionista e poi di un padre fallito, un marito riuscito, un amante fallito e poi di un padre riuscito, e poi ancora di un amante riuscito in tutte le sfumature del beige. Il sentimento non è mai tagliato con l’accetta.


Aveva definito il dottor Mari una iena buona: è sempre dello stesso avviso?
Quest’anno è un po’ più arrabbiato, la relazione con la sua tutor si è complicata e inacidita. Ma non credo che a uno psicoterapeuta venga richiesto l’equilibrio a tutti i costi. Anzi, il non equilibrio, quindi la crisi e la fragilità di un terapeuta, sono una benzina, soprattutto se guidati dall’intelligenza e dalla sensibilità.


Chesterton disse che “La psicoanalisi è una confessione senza assoluzione”: è d’accordo?
Assolutamente vero, è una straordinaria confessione laica che mette al centro della propria esistenza la cosa che il Novecento ci ha detto essere la cosa più importante per noi, il proprio io, la propria personalità, quindi la risoluzione dei problemi e l’affermazione della propria felicità.


C’è un personaggio delle serie tv che le piacerebbe avere sul divano?
Chi non vorrebbe psicanalizzare Kevin Spacey, il protagonista di House of Cards? Non fosse altro perché ti faresti tante di quelle risate. Sarebbe il candidato ideale.


Citando Čechov, a proposito del suo ultimo film Nessuno si salva da solo, lei ricorda che bisogna rispettare sempre le miserie dei personaggi, e fuggire da qualsiasi pietismo: come se la cava Giovanni Mari? 

E’ il presupposto fondamentale: bisogna avere pietà dei personaggi, al contempo raccontarli e metterli in scena con un assoluto desiderio di verità. L’attore, quando recita un personaggio, deve considerarsi il migliore avvocato di quel personaggio. E Kevin Spacey è il miglior avvocato di Frank Underwood, del personaggio che interpreta, lo mette in scena senza pietà giustificando qualsiasi suo comportamento. Un buon attore fa questo.

 

Nessuno si salva da solo, nel titolo fa pensare al divano del dottor Mari, c’è qualcosa che lo accomuna a In Treatment?
Sì, c’è un film che si infila dentro un altro film, il primo è la cena al ristorante, quella è una vera seduta di psicoterapeuta, uno scambio continuo in cui uno diventa paziente e l’altro terapeuta e viceversa, attraverso una serie di accuse, confessioni, dichiarazioni d’amore e di odio, polemiche e improvvise armonie. Sul tavolo non una bottiglia di vino, ma il cadavere del loro amore.


Ha lavorato con registi quali Scola, Monicelli, Ferreri, Tornatore, Archibugi, Bellocchio, Amelio, Tognazzi, per citarne alcuni: qualche nome che le manca e con cui le piacerebbe collaborare?
Con i grandi maestri ho già lavorato, mi piacerebbe confrontarmi con i registi più giovani, con gli esordienti. Trovo che ci sia materiale molto interessante. Non solo per mettere a loro disposizione la mia esperienza, ma per mischiarla con quell’altra grande benzina che è l’inesperienza: una grande forza nella vita, che ti fa fare anche delle sciocchezze ma al contempo cose che sicuramente non appartengono agli stereotipi.   


Se In Treatment fosse il titolo di una canzone quale sarebbe?
La notte dei miracoli di Lucio Dalla. In fondo una seduta di psicoterapia, soprattutto se non finisce in maniera drammatica, è sempre una notte dei miracoli. 

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