Tutto fa Broadway: Mozart & Co. in the Jungle

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Gael Garcia Bernal è il Maestro Rodrigo in Mozart in the Jungle
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Dal rituale di Beethoven, che prima di comporre immergeva la testa in acqua fredda, a John Cage, che arrivò a suonare perfino un cactus, il mondo della musica classica è stato addirittura più folle di quello del rock. Ecco a voi gli aneddoti più succulenti aspettando la seconda stagione di Mozart in the Jungle, su Sky Atlantic ogni mercoledì alle 21.10 a partire dal 29 giugno

di Camilla Sernagiotto

Non esiste una sola trinità dissacrante nel mondo delle sette note.
Se pensavate che sesso, droga & rock ‘n’ roll fossero il massimo della trasgressione, allora significa che non conoscete a fondo il mondo della musica classica.
Da Beethoven a Rossini, da John Cage a Bach, di trasgressioni ne sono state masticate parecchie pure dai compositori più illustri, le cui stranezze e bizzarrie potrebbero mettere in ombra quelle dei mostri sacri del rock.
Aspettando l’attesissima seconda stagione di Mozart in the Jungle, in onda su Sky Atlantic ogni mercoledì alle 21.10 con un doppio episodio a partire dal 29 giugno, ecco alcuni degli aneddoti più succulenti dell’Olimpo classico più pazzoide che ci sia mai stato.

Partiamo da Brahms, il più burbero e cattivello dei compositori, una specie di Mick Jagger il cui tormentone non era il ballo da galletto bensì il fare da galletto.
Brahms era celebre, oltre che per le sue composizioni da chapeau, per le sue critiche e disapprovazioni malcelate. O meglio: nient’affatto celate!
Ad esempio a una festa in cui dovette sorbirsi una penosa cantante che storpiava alcuni suoi Lieder non si risparmiò di andare a commentare la performance a fine concerto. Le sue parole taglienti furono: “Beh, che dire, cantare è difficile. Ma alle volte ascoltare è pure più difficile.”
Un altro esempio del caratteraccio di Bramhs (e della sua incorreggibile schiettezza) è il seguente: durante una riproduzione di una sonata di Beethoven assieme a un amico violoncellista, questi gli chiese di schiacciare i pedali del pianoforte più delicatamente perché, disse, “Non riesco a sentire il mio violoncello”. E Brahms non riuscì a trattenersi dal ribattere: “Sei fortunato”.


Il compositore Luciano Berio, invece, è da citare per un incidente accaduto durante un suo spettacolo. Nel 1981 diede uno speciale concerto all'aperto ad Orvieto per promuovere la pace. Prima d’incominciare l’ultimo pezzo, un colpo di cannone è stato sparato dal palco per simboleggiare la terribile distruttività della guerra. Purtroppo però l’esplosione è stata tale da creare un’enorme fungo fumoso e soltanto quando il fumo si è diradato Berio ha fatto l’orribile scoperta: uno spettatore seduto in prima fila era stato accidentalmente colpito e ferito dal proiettile!

Se in quel caso la legge non scritta “The show must go on” non è stata certo osservata per ovvie ragioni, uno dei protagonisti della classica che proprio non riusciva a non portare a termine il suo lavoro era Bach. Si narra che un giorno entrò in una sala gremita di gente che stava ascoltando un clavicembalista suonare. Nel vedere Bach in persona di fronte a lui, il musicista si alzò istintivamente in segno di rispetto e nel farlo schiacciò involontariamente dei tasti del clavicembalo che crearono un accordo dissonante. Bach allora si precipitò sulla tastiera e risolse subitaneamente l'accordo in questione, concludendo la musica con una cadenza adatta.

Di una terribile deformazione professionale soffriva anche John Cage, il compositore d’avanguardia attivo nella metà del secolo scorso che aveva la strana fissazione di suonare qualsiasi cosa gli capitasse a tiro.
Le sue composizioni erano opere eclettiche che includevano elementi non musicali come borbottii, rumori della quotidianità, muggiti di mucche prodotti da quei giochini per bambini che si devono capovolgere e addirittura il silenzio.
In un’occasione attaccò un microfono a un cactus e… incominciò a suonarlo!

Un artista con i piedi molto più per terra rispetto ai colleghi la cui testa era spesso tra le nuvole era Rossini. Il maestro cui si devono capolavori come Il barbiere di Siviglia e La gazza ladra era molto pratico e poco incline agli elogi. Si racconta infatti che, quando un gruppo di sue groupie ante-litteram decise di onorarlo facendo erigere una statua a lui dedicata che sarebbe costata ventimila franchi, lui esclamò quanto segue: “Dannazione! Date a me i 20.000 franchi e ci starò io in persona in piedi sul piedistallo!”

E anche nella classica non manca una maledizione numerica; se nel rock il numero cui fare il segno con la mano con alzati pollice, indice e mignolo ed esclamare “vade retro Santana” è il 27 (molte rock star sono morte a quell’età, da Jim Morrison a Jimi Hendrix), nella musica classica c’è il 9.
Si tratta infatti della cosiddetta “maledizione della Nona” che incominciò a falcidiare compositori a partire da Beethoven. La sua Nona Sinfonia, infatti, lo tenne occupato per più di un decennio dopodiché, a partitura conclusa, il maestro si spense.
La stessa sorte toccò ai colleghi Schubert e Dvorak così la leggenda della “terribile e temibile Nona” incominciò a circolare nell’ambiente al punto da spingere il superstizioso Mahler a completare immediatamente dopo la sua Nona una Decima. Tuttavia il suo rito apotropaico non servì a nulla, dato che si spense appena dopo.
Anche Bruckner, nonostante la numerazione diversa (intitolò le sue prime due sinfonie 00 e 0 sperando di scampare al funesto destino) è scomparso tragicamente mentre componeva il suo nono lavoro.


E Sibelius? Si è saggiamente fermato dopo la sua ottava sinfonia.
Ed è vissuto per altri 33 anni. Altro numero non proprio fortunato, almeno in campo religioso…

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