Francesca Calvelli: "In Treatment, sfida pazzesca"
Serie TVMentre continuano le sedute dello psicoterapeuta Giovanni Mari con i suoi pazienti, abbiamo incontrato la curatrice del montaggio della serie cult in onda su Sky Cinema 1 (da lunedì al venerdì alle 20.30). Ecco cosa ci ha svelato: leggi l'intervista
Francesca Calvelli di professione montatrice non sembra abituata a scelte facili. Basta semplicemente citare qualche suo lavoro precedente ("Romanzo di una Strage" di Marco Tullio Giordana, "Bella addormentata" di Marco Bellocchio, "La solitudine dei numeri primi" di Saverio Costanzo) per capire che le sfide cinematografiche sono la sua grande passione. Allora certamente si capisce il perché ha accettato di curare il montaggio della versione italiana di "In Treatment" su Sky Cinema 1. L'abbiamo incontrata ed ecco come ha risposto alle nostre domande.
Quando è stato che ha visto per la prima volta "In Treatment" e che tipo di impressione le ha fatto?
Mi sono imbattuta nella serie della HBO per il consiglio di un amico. La prima cosa che ho pensato vedendola è che bello, chissà se in Italia si farà mai una cosa del genere. Soprattutto mi aveva colpito il terapista Paul Weston interpretato da Gabriel Byrne, un personaggio assolutamente credibile. Per quanto riguarda il mio lavoro di montatrice, non avevo fatto una riflessione specifica, visto che mi sono accostata ad "In Treatment" più da spettatrice che da addetta ai lavori.
Che cosa l'ha attratta?
Diciamo che mi sembrava una cosa originale e interessante; quella, cioè, di fare una serie che uscisse dalle tematiche tradizionali quali omicidi, serial killer e roba varia. Intrattenere il pubblico con una seduta psicanalitica nel chiuso di una stanza mi sembrava davvero interessante. Per me è stata una sfida incredibile perché si è trattato di andare contro le abitudini del pubblico che oramai è abituato a serie tv costruite sull'azione e su montaggi pazzeschi. "In Treatment" è una cosa diversa, una scelta di qualità. Onore a Sky che ha saputo raccogliere questa nuova sfida.
Quanto il suo lavoro è stato influenzato dalla serie americana?
Per me non è stato un problema, anzi è stato di grande aiuto. La serie americana era talmente bella che l'approccio poteva essere soltanto quello di mantenersi fedeli all'originale. Anzi, confesso che lavorando sulla versione italiana, ogniqualvolta avevo dei dubbi su che cosa un personaggio doveva tirar fuori, verificavo che fosse lo stesso nell'originale americano. Insomma un grande aiuto.
Che tipo di montaggio ha usato?
Il montaggio utilizzato in questa versione di "In Treatment" è tutto basato sul tempo delle risposte e delle domande, degli sguardi e dei silenzi che passano tra i vari personaggi. Attraverso, per esempio, lo sguardo di Castellitto che ascolta e a cui viene raccontata una tale vicenda, si può immaginare e nello stesso tempo chiedersi, che cosa sta realmente pensando del personaggio che ha di fronte. Viceversa può accadere la medesima cosa sullo sguardo del paziente. Quindi è stato fondamentale in fase di montaggio tener conto delle pause, anche di quelle brevissime. Una frazione di secondo in meno o in più può cambiare la percezione del dramma o della cosa che si sta raccontando. Si tratta di un puzzle complicato, un oggetto di cristallo delicatissimo. Aggiungo che il tipo di montaggio che ho usato è quello dello spettatore; ovvero mi sono completamente immedesimata in colui che guarda da casa. Anzi, ho cercato di pensarmi seduta davanti dalla tv mentre mi chiedo cosa vorrei realmente vedere in questo momento. E' stato questo il mio approccio al montaggio di ogni puntata di "In Treatment".
Continua la collaborazione con il regista Saverio Costanzo. Come è andata questa volta?
Con Saverio c'è oramai un rapporto consolidato visto che ho già lavorato con lui in tre film "Private", "In memoria di me" e "La solitudine dei numeri primi". Mi piace molto lavorare con lui perché riusciamo anche a divertirci. Mi lascia un'enorme libertà di azione e questa cosa non può che essere positiva. Ma fino ad un certo punto. Infatti voglio che le cose iniziate siano finite insieme perché dalla fusione dei nostri pensieri ne nasce uno nuovo.
E con Sergio Castellitto?
Anche con Sergio non è la prima volta che ci incontriamo visto che avevo montato con lui il suo film "La bellezza del somaro" di cui era regista e attore e partecipato sempre al montaggio nei due film di Marco Bellocchio, interpretati sempre da Castellitto "L'ora di religione" e "Il regista di matrimoni". Lui è sicuramente un artista talmente grande che riserva sempre delle sorprese stupende. E' veramente un piacere lavorare sul suo volto e sulla sua voce. Non è un attore prevedibile. Ogni volta che lavori con lui scopri sempre delle cose nuove. Sergio Castellitto è davvero un artista a tutto tondo.
Da donna come vede la terapia?
Secondo me le donne hanno una propensione, diciamo così, ad autoanalizzarsi o più in generale ad analizzare meglio degli uomini. Non è una questione di intelligenza o di superiorità o di maggiore sensibilità ma direi più semplicemente genetica. Sarà che nella mia vita ho visto più donne recarsi in analisi che uomini. Detto questo, le cose stanno lentamente cambiando visto che sempre più maschi si recano dallo psicanalista. Confesso che comunque l'aver lavorato alla versione italiana di "In Treatment" mi ha fatto venire voglia di fare due chiacchere con un'analista vero.
Ma non le fa paura affrontare una terapia?
Sicuramente ci vuole del coraggio, come dice l'analista Castellitto in una puntata di "In Treatment". Significa mettersi in gioco cercando di affrontare cose scomode per se stessi che non si vogliono assolutamente accettare. Sapendo poi che l'analisi non ti aiuta, non ti risolve i problemi, ma ti dà soltanto degli strumenti per provare a guardarti dentro.
Ha mai provato?
Ero molto giovane e forse non era l'analista giusto. Infatti è durata pochissimo, proprio perché questa psicologa o psichiatra non ricordo bene cosa fosse, mi continuava a dare delle soluzioni. Poi ho incontrato una psicoanalista molto seria e in gamba, che non mi dava affatto delle soluzioni anzi mi bastonava in maniera pesantissima. Questa lezione mi ha permesso di capire delle cose importanti di me, di affrontarle nella loro interezza e di conseguenza di migliorare gradualmente me stessa.
Quando è stato che ha visto per la prima volta "In Treatment" e che tipo di impressione le ha fatto?
Mi sono imbattuta nella serie della HBO per il consiglio di un amico. La prima cosa che ho pensato vedendola è che bello, chissà se in Italia si farà mai una cosa del genere. Soprattutto mi aveva colpito il terapista Paul Weston interpretato da Gabriel Byrne, un personaggio assolutamente credibile. Per quanto riguarda il mio lavoro di montatrice, non avevo fatto una riflessione specifica, visto che mi sono accostata ad "In Treatment" più da spettatrice che da addetta ai lavori.
Che cosa l'ha attratta?
Diciamo che mi sembrava una cosa originale e interessante; quella, cioè, di fare una serie che uscisse dalle tematiche tradizionali quali omicidi, serial killer e roba varia. Intrattenere il pubblico con una seduta psicanalitica nel chiuso di una stanza mi sembrava davvero interessante. Per me è stata una sfida incredibile perché si è trattato di andare contro le abitudini del pubblico che oramai è abituato a serie tv costruite sull'azione e su montaggi pazzeschi. "In Treatment" è una cosa diversa, una scelta di qualità. Onore a Sky che ha saputo raccogliere questa nuova sfida.
Quanto il suo lavoro è stato influenzato dalla serie americana?
Per me non è stato un problema, anzi è stato di grande aiuto. La serie americana era talmente bella che l'approccio poteva essere soltanto quello di mantenersi fedeli all'originale. Anzi, confesso che lavorando sulla versione italiana, ogniqualvolta avevo dei dubbi su che cosa un personaggio doveva tirar fuori, verificavo che fosse lo stesso nell'originale americano. Insomma un grande aiuto.
Che tipo di montaggio ha usato?
Il montaggio utilizzato in questa versione di "In Treatment" è tutto basato sul tempo delle risposte e delle domande, degli sguardi e dei silenzi che passano tra i vari personaggi. Attraverso, per esempio, lo sguardo di Castellitto che ascolta e a cui viene raccontata una tale vicenda, si può immaginare e nello stesso tempo chiedersi, che cosa sta realmente pensando del personaggio che ha di fronte. Viceversa può accadere la medesima cosa sullo sguardo del paziente. Quindi è stato fondamentale in fase di montaggio tener conto delle pause, anche di quelle brevissime. Una frazione di secondo in meno o in più può cambiare la percezione del dramma o della cosa che si sta raccontando. Si tratta di un puzzle complicato, un oggetto di cristallo delicatissimo. Aggiungo che il tipo di montaggio che ho usato è quello dello spettatore; ovvero mi sono completamente immedesimata in colui che guarda da casa. Anzi, ho cercato di pensarmi seduta davanti dalla tv mentre mi chiedo cosa vorrei realmente vedere in questo momento. E' stato questo il mio approccio al montaggio di ogni puntata di "In Treatment".
Continua la collaborazione con il regista Saverio Costanzo. Come è andata questa volta?
Con Saverio c'è oramai un rapporto consolidato visto che ho già lavorato con lui in tre film "Private", "In memoria di me" e "La solitudine dei numeri primi". Mi piace molto lavorare con lui perché riusciamo anche a divertirci. Mi lascia un'enorme libertà di azione e questa cosa non può che essere positiva. Ma fino ad un certo punto. Infatti voglio che le cose iniziate siano finite insieme perché dalla fusione dei nostri pensieri ne nasce uno nuovo.
E con Sergio Castellitto?
Anche con Sergio non è la prima volta che ci incontriamo visto che avevo montato con lui il suo film "La bellezza del somaro" di cui era regista e attore e partecipato sempre al montaggio nei due film di Marco Bellocchio, interpretati sempre da Castellitto "L'ora di religione" e "Il regista di matrimoni". Lui è sicuramente un artista talmente grande che riserva sempre delle sorprese stupende. E' veramente un piacere lavorare sul suo volto e sulla sua voce. Non è un attore prevedibile. Ogni volta che lavori con lui scopri sempre delle cose nuove. Sergio Castellitto è davvero un artista a tutto tondo.
Da donna come vede la terapia?
Secondo me le donne hanno una propensione, diciamo così, ad autoanalizzarsi o più in generale ad analizzare meglio degli uomini. Non è una questione di intelligenza o di superiorità o di maggiore sensibilità ma direi più semplicemente genetica. Sarà che nella mia vita ho visto più donne recarsi in analisi che uomini. Detto questo, le cose stanno lentamente cambiando visto che sempre più maschi si recano dallo psicanalista. Confesso che comunque l'aver lavorato alla versione italiana di "In Treatment" mi ha fatto venire voglia di fare due chiacchere con un'analista vero.
Ma non le fa paura affrontare una terapia?
Sicuramente ci vuole del coraggio, come dice l'analista Castellitto in una puntata di "In Treatment". Significa mettersi in gioco cercando di affrontare cose scomode per se stessi che non si vogliono assolutamente accettare. Sapendo poi che l'analisi non ti aiuta, non ti risolve i problemi, ma ti dà soltanto degli strumenti per provare a guardarti dentro.
Ha mai provato?
Ero molto giovane e forse non era l'analista giusto. Infatti è durata pochissimo, proprio perché questa psicologa o psichiatra non ricordo bene cosa fosse, mi continuava a dare delle soluzioni. Poi ho incontrato una psicoanalista molto seria e in gamba, che non mi dava affatto delle soluzioni anzi mi bastonava in maniera pesantissima. Questa lezione mi ha permesso di capire delle cose importanti di me, di affrontarle nella loro interezza e di conseguenza di migliorare gradualmente me stessa.