Agarthi, il nuovo album senza filtri di Sem&Stenn. L'intervista

Musica

Helena Antonelli

sem-stenn

È uscito oggi, venerdì 19 febbraio, AGARTHI il nuovo secondo album di Sem&Stènn (distr. Believe Digital), il primo in italiano, che I-D Vice ha definito “la resistenza queer della musica italiana”. L’intervista a Salvatore Puglisi e Stefano Ramero, in arte Sem&Stènn

Anticipato dal singolo Champagne, Agarthi, il nuovo concept album di Sem&Stènn ci introduce in un mondo interiore dove la spiritualità è connessa all’eccesso, dove le imperfezioni di tutti sono il valore più grande che abbiamo, un rave spirituale dove ci si spoglia dai vestiti e dalle energie negative. Dove ballare senza sosta diventa un rito di purificazione. Le sonorità che hanno ispirato questo progetto sono quelle elettroniche est-europee, il synth pop della scena inglese e svedese insieme ai canti corali sacri, senza paura di sporcare o violare schemi prestabiliti.

Nel 2017 Sem&Stènn arrivano ad X Factor. Divertono, disturbano, dividono, scuotono il pubblico e si fanno portavoce della comunità LGBTIQ+, contro qualsiasi stereotipo di genere. Manuel Agnelli, li sceglie come opening performers il 10 aprile al Mediolanum Forum di Assago, data unica celebrativa dei 30 anni degli Afterhours. Con Agarthi sono al loro secondo album, il primo in italiano. L’intervista a Sem&Stènn

Parlatemi dell’album in uscita oggi, Agarthi. Emozionati?
Tantissimo. Agarthi nasce circa due anni fa, finito il nostro tour in Italia. È stato un viaggio alla ricerca di un mondo nuovo soprattutto interiore, la ricerca di un equilibrio che ci permettesse di stare in armonia e di essere felici a prescindere da ciò che ci succede attorno. L’abbiamo messo a punto in Italia nella nostra casa di periferia, ci ha aiutato molto il contatto con la natura.

 

Primo concept album in italiano. Perché ora?
Non è stato pianificato, cerchiamo di fare quello che sentiamo. Volevamo aprire una nuova strada in maniera più esplicita.

 

Da qui l’idea di Agarthi?
La leggenda induista racconta di Agarthi come la città sotterranea che gli dei crearono dopo essere fuggiti dalla superficie terrestre, stanchi dell’imperfezione dei mortali. Due anni fa, quando abbiamo iniziato a scrivere questo disco, lo sconforto e il senso di inadeguatezza ci portarono ad immaginare un nuovo mondo ideale, dove sentirsi finalmente a casa. La sensazione di aver toccato il fondo ci ha fatto amare ancora di più l’idea di Agarthi: Ci hanno sempre insegnato che in alto c’è il paradiso, e in basso troviamo l’inferno. E se non fosse così? Se l’ordine delle cose fosse invertito, e si debba scavare in profondità anziché mirare ai cieli stellati?

 

Che ruolo ha avuto la pandemia in questo vostro progetto?
È stato per certi versi uno stimolo nella ricerca del nostro equilibrio interiore. Abbiamo preso l’ostacolo come un’opportunità per poter riflettere molto di più sul dove volevamo andare.

 

Un album che è stato definito “la resistenza queer della musica italiana”. Vi piace?
Moltissimo. La parola resistenza esprime a pieno il nostro percorso che è stato pieno di ostacoli, di muri e a volte di ingiustizie. Ci siamo presentati al mondo tirando fuori la nostra identità ma il tutto è avvenuto con naturalezza, nulla è stato programmato o strumentalizzato.

 

Oggi come vi sentite rispetto al passato?
Gli ultimi anni hanno portato del terrorismo mediatico. Londra, dove abbiamo vissuto per un breve periodo, a differenza dell’Italia ha un clima favorevole rispetto al nuovo, alla diversità. Tutto si presenta in maniera più semplice. In Italia c’è ancora un sistema patriarcale molto forte, siamo ancora fermi ad un discorso di misoginia, tutto quello che non rientra in certi canoni si tende a reprimerlo, a etichettarlo. C’è capitato, parlando con gli addetti ai lavori, che durante i nostri tour dovevamo “essere meno gay”, meno espliciti, perché questo non avrebbe probabilmente venduto. Ovviamente noi non siamo d’accordo e anche se questo ci ha condizionato in negativo non ci interessa, abbiamo deciso di continuare per la nostra strada. Fortunatamente siamo nel 2021 e l’Italia non vive in una bolla, siamo costantemente in contatto con artisti queer che si esprimono nella loro più totale libertà.

 

In questo senso, quanto è stato importante per voi il passaggio ad XF?
È stata una bella esperienza, una scuola dove abbiamo imparato tanto. Eravamo indipendenti al cento per cento, avevamo già prodotto un EP e facevamo già live. A livello identitario è stato il momento in cui abbiamo preso più consapevolezza della situazione che c’è in Italia. Venivamo da una bolla che è quella di Milano, quindi per noi è stato naturale annunciarci come una coppia che fa musica insieme. Quando siamo arrivati al grande pubblico ingenuamente non ci aspettavamo una situazione di hating così forte.

 

La canzone dell’album che più sentite vostra?
Ogni pezzo racconta un mood del nostro viaggio spirituale e una fase diversa. Sono tutti nostri figli ma se proprio dobbiamo scegliere sicuramente “Froci e normali”. È il primo pezzo che abbiamo scritto del disco ed è quello che ha meno filtri. In generale in tutta la stesura dell’album ci siamo imposti di essere espliciti e senza filtri.

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