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Sciclitano, canta la grandezza e le imperfezioni di Roma in Santi e Chiese: il video

Musica
VIDEO - Sciclitano presenta Santi e Chiese
SPETTACOLO
VIDEO - Sciclitano presenta Santi e Chiese
00:03:14 min

Il brano vuole dare voce all’urgenza di narrare cosa è rimasto del luogo del cuore nel profondo

IL BRANO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA

‘’Santi e Chiese" sono i costanti osservatori della nostra città, Roma. Ci guardano, ci

giudicano, ci comprendono e ci cullano. Roma, che mi danna e salva

quotidianamente, allo stesso tempo, è come un vero e proprio teatro: tra sacro e

profano, possiamo diventare spettatori e protagonisti di storie, vite, pensieri che

durano eternamente. Roma la ami o la odi, insomma. Crescerci e, in generale, viverci

significa contemplare la sua grandezza, ma anche accettarne le sue imperfezioni, le

sue contraddizioni che ci osservano dall’interno, che sanno anche comprenderci, in

un certo senso. Rifletto tutto ciò che ho dentro, la mia interiorità impetuosa e il

bisogno di espressione. Non voglio fornire grandi contenuti come ‘’oppio del popolo’’

attraverso la musica, ma cerco semplicemente di dare voce all’urgenza, a cosa è

rimasto del mio luogo ameno nel profondo. Ho dato tutto di me e ho raccontato a

quelle architetture, ai ‘’Santi e Chiese’’ che mi hanno sempre guardato, parti di me

che spesso tacciono, non riescono ad uscire così spontaneamente. Vivo proprio di

flussi di coscienza dove le parole e le esperienze si incastrano in tutt'uno, come in

quella famosa scultura di Bernini, ‘’Apollo e Dafne’’, i due personaggi vivono il

racconto. La mia anima è parte salda del luogo in cui sono cresciuto, e anche nel

video abbiamo ricreato uno scenario di sfondo che mette in luce quartieri, santuari e

vie caratteristiche dell’urbanistica romana.

Non mi immaginerei altrove o con altre persone che non riescono a rispecchiare il

mio senso di quotidianità. Tanti miei coetanei partono, si spostano verso altre mete e non tornano più qui. Io stesso mi sposto e viaggio molto, ma non credo di riuscire ad abbandonare definitivamente la mia Roma. Non è solo un discorso territoriale o

affettivo, ma si tratta di una questione più viscerale, profonda, culturale. Rousseau

scriveva che le abitudini possono anche uccidere la nostra natura. Però penso anche

che l’abitudine si modelli secondo la nostra natura. E quello che sono o quello che

rappresento (ognuno di noi rappresenta qualcuno o qualcosa in maniera consapevole o inconsapevolmente) è fortemente legato alle mie radici, al mio linguaggio, al mio costume. La mia persona e il mio personaggio si avvicinano molto, comunicano tra loro e diventano sostanzialmente la stessa cosa.

Nonostante non abbia bisogno così tanto di dare un messaggio a qualcuno, se non a

me stesso che sente la necessità di comunicare, spero che chi ascolta le mie parole

possa non tanto immedesimarsi, ma sentire la forza delle sue radici, della sua città,

dare ascolto ai propri ‘’Santi e Chiese’’ che vegliano sul nostro futuro, sulle nostre

scelte. E non vedere la propria casa come un luogo da rimuovere, ma come un luogo

dentro al quale ritrovare quiete dopo una lunga frenesia, caldo dopo un lungo gelo,

forza dopo l’imminente stanchezza. Come scriverebbe Heidegger, siamo ‘’progetti’’, cioè gettati in avanti per continuare, concludere e infine ricominciare. Ma nulla può ricominciare se di base non abbiamo una fondamento sopra cui poggiarsi, sopra cui confermarsi.

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