Zucchero in concerto a Milano: una serata per i partigiani dell'amore e della libertà

Musica
Fabrizio Basso

Fabrizio Basso

L'artista emiliano di Roncocesi ha chiuso a San Siro il tour italiano negli stadi. Un viaggio lungo oltre tre ore e mezzo che ha incantato ed emozionato le circa 45mila persone presenti. Ospiti della serata Jack Savoretti, Tomoyasu Hotei e il Sherrita Duran Gospel Choir. IL RACCONTO DELLA SERATA

Overdose d’amore, overdose di musica, overdose di emozioni. Zucchero chiude a San Siro il suo tour negli stadi e lo fa incantando circa 45mila persone per oltre tre ore e mezza. La sua sana e (in)consapevole libidine non salva solo i giovani dallo stress e dell’azione cattolica ma accende i cuori e i sentimenti. C’è ancora luce, allo stadio Meazza, quando appare sul palco, si comincia alle 20.30 (e dovrebbe essere una regola per tutti i concerti) con Spirito nel Buio (preceduta da una intensa intro che prevedeva  da fin dalle prime note pure Oh, Doctor Jesus, una cover di Ella Fitzgerald e Louis Armstrong)  si capisce che sarà un viaggio speciale. Al suo fianco la sua fedele super band internazionale composta da Polo Jones, Kat DysonPeter VetteseMario SchiliròAdriano MolinariNicola PeruchMonica Mz CarterJames ThompsonLazaro Amauri Oviedo DiloutCarlos Minoso e la superba, immensa vocalist Oma Jali. Situazione abbastanza rara, il prato prevede le sedie anche se servono a poco visto che fin da subito, e con la sola eccezione di momenti intimi, il pubblico sceglie di stare in piedi e di ballare. Il ritmo è subito alto, Soul Mama, la montaliana Il sole al tramonto salì su una tendina di stelle…, La Canzone che se ne va, Ci si arrende ed E’ delicato. E’ come ascoltare Bella Ciao il suo Partigiano Reggiano, trasmette un senso di fratellanza e di resistenza: “un canto libero, l'amore libero un cuore unico come un partigiano reggiano”. Reggiano qui non è una connotazione geografica bensì è un valore ecumenico. E speriamo che porti davvero verso quell’amore, perché troppe volte diamo per scontato quello che non è. Per citare un esempio, Zucchero di certo non lo sa e forse neanche Papa Francesco e neanche il vescovo di Kazbeju, ma in questo luogo appena fuori Vilnius, una sacerdote cattolico ha impedito a un uomo di fare da padrino al nipote in quanto convivente con un altro uomo. E questo nonostante il Dicastero per la Dottrina della fede abbia dato il via libera anche a padrini omosessuali che convivono con un'altra persona, basta che conducano "una vita conforme alla fede". A questo serve Partigiano Reggiano, a provare a rendere il mondo più giusto. E Zucchero non si è mai tirato indietro quando c’è da combattere per una umanità migliore. Per altro questi concetti tornano, anche graficamente, più avanti, quando bisogna salvare i giovani dall’azione cattolica.

Zucchero Savoretti

Le prime parole giungono dopo Vedo nero: Zucchero ringrazia San Siro e fa sentire in anteprima Amor che muovi il sole: parte con la chitarra quasi acustica poi il rock arriva ma delicato. Sugli schermi ci sono i testi del brano affinché se ne possa afferrare la profondità. Pene è accompagnata sugli schermi da colori mélange e rarefatti e regala una lunga coda strumentale. Il finale mostra Zucchero di spalle a fare il direttore d’orchestra. E’ poetico il fondale rosso. La backing vocals Oma Jali è spettacolare e lo stadio le tributa una standing ovation personale. Senza Una Donna viene fatta in coppia con Jack Savoretti e il brano ha una marcia in più. Solo una sana e inconsapevole libidine salva i giovani dallo stress e dall’azione cattolica è rappresentata da un crocifisso di stile gotico che ruota su se stesso come volesse raccontare una chiesa avvitata su…se stessa che gira a vuoto. E il pensiero diffuso torna tutte le intolleranze che ci sono nel mondo, a partire da quella di Vilnius. Il messaggio che invia Zuccherò è cristallino: fuck le systeme. E’ una discoteca sotto le stelle Balia (Sexy Thing) che esplode con un finale che illumina lo stadio. In questo momento al suo fianco c’è un altro ospite, Tomoyasu Hotei. Dune mosse è una preghiera laica aggraziata dall’assolo finale di tromba. E’ il momento amarcord: “Sono tanti anni che non tornavamo qua e stasera è una cosa incredibile. Vi sono grato perché senza di voi sarei in un pianobar come ho fatto fino a 18 anni”. Si susseguono, tra le altre, Dune Mosse, Indaco dagli occhi del Cielo, Un soffio caldo e poi, dice che “ci sono tante canzoni che vorrei fare ma non posso suonare sei ore” e con la chitarra avvolge il pubblico di intimità. E’ pazzesca la versione di Honky Tonk Train Blues, sigla, negli anni Settanta, di un programma televisivo visionario chiamato Odeon, tutto quanto fa spettacolo: la sigla, al piano, la eseguiva Keith Emerson e forse per la prima volta, ascoltando la versione di Zucchero, ho sentito fratellanza con l’originale. Entra in scena il Sherrita Duran Gospel Choir e lo fa passando in mezzo al pubblico. Overdose (d’amore) spinge verso un finale rutilante composto da Così Celeste, Diamante, Madre Dolcissima, X Colpa di Chi e Diavolo in Me. Sugli schermi si sogna, c’è una lavoro grafico non solo importante ma anche immaginifico. In Diamante, dove si respira l’odore dei granai, ci sono le spighe di grano. Si chiude con Blu e la commovente Chocabeck. E poi sì, che Dio salvi il Blues, ma che salvi anche queste serate partigiane, libere e illuminate da “quella luce dell’amore”.

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