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Dave Stewart a Milano con Eurythmics Songbook: "Retrospettiva di canzoni ancora attuali"

Musica

Valentina Clemente

Il 4 gennaio 1983 gli Eurythmics pubblicano “Sweet Dreams” album che, quarant’anni dopo, è ancora uno dei capolavori della musica internazionale. Per celebrare questo importante anniversario Dave Stewart, co-fondatore del duo inglese, arriva in Italia per un’unica data con "Eurythmics Songbook": il 24 novembre al Teatro Dal Verme di Milano l’artista suonerà i brani di quell’album iconico e molti altri ancora. L’abbiamo incontrato, ecco la nostra intervista

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Alzi la mano chi, almeno una volta, e non necessariamente in un club, ha sentito l’inconfondibile voce di Annie Lennox cantare Sweet Dreams (Are Made of This). Ebbene sì: questa canzone, parte dell’album omonimo pubblicato il 4 gennaio 1983 dagli Eurythmics, è senza alcun dubbio una delle melodie più ascoltate, trasmesse e anche rifatte nel corso degli anni. Sono, infatti, tantissimi gli artisti che, dal giorno della sua pubblicazione, hanno voluto interpretarla e anche farne una nuova versione, tanto da rendere questa canzone quasi immortale. Un suono che è stato creato in studio quarant’anni fa e che, oggi, sempre più che attuale. Ne abbiamo parlato insieme a Dave Stewart, fondatore e cuore pulsante degli Eurythmics, che porterà in Italia proprio quel sound, venerdì 24 novembre a Milano: “In scaletta sono previsti 22 brani, e sono sicuro che la gente riconoscerà dalla prima nota almeno 18 di essi. Non vedo l’ora di tornare in Italia a suonare!” ha raccontato il musicista e produttore nella nostra conversazione. 

Sweet Dreams (Are Made of This) è un album molto contemporaneo (nonostante sia stato pubblicato nel 1983

 

Questo album, nonostante l’età, è molto attuale. Quando lo ascolto, non vedo molta differenza nei suoni e nelle melodie che si sentono oggi. Quando eravate in studio, avreste mai immaginato di riuscire in questa impresa, così difficile ieri e ancor di più oggi?

Non ascolto spesso questo album, ma quando lo sento alla radio (o mi capita di sentire qualche traccia) non suona affatto vecchio. È stato il primo album che ho prodotto. Ricordo ancora che in quei giorni pranzai con il mio amico, e bravissimo produttore, Conny Plank che in quell’occasione mi disse: “Per questo tipo di cose non ci sono regole”. Per me è stato importantissimo ricevere quel consiglio: prima andavo in studio e, nel produrre canzoni e dischi, ero sempre attentissimo alle regole da seguire, come per esempio non toccare la tastiera in un certo modo, oppure non fare questa o quest’altra cosa. Dopo la chiacchierata con Conny ho fatto esattamente tutto quello che volevo. Stavo facendo qualcosa di sperimentale, ma non ero preoccupato del risultato finale: stavo facendo un disco in cui volevo inserire ogni possibile suono…e quando lo sento penso: “Sì, mi piace tutto quello che c’è in questo disco”, ne sono orgoglioso. Molte delle canzoni che abbiamo scritto io e Annie, come per esempio Here comes the rain, si sentono spesso: l’aspetto bello di tutto questo è che non si riesce a capire esattamente quando sono state realizzate, proprio perché ho inserito tantissimi suoni, e li ho mixati. Here comes the rain ha un’orchestra, una batteria, un sequenziatore e una chitarra d’altri tempi. Di solito non metto tutti questi strumenti insieme, ma è successo. In There must be an angel c’è un cantante d’opera, dell’Opera di Parigi, un arpista, una batteria, Stevie Wonder all’armonica. È come fare un collage, pieno di colori. Una scatola piena di dipinti. Ed è qualcosa che mi elettrizzava ieri e ancor di più mi agita oggi.

 

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Le nuove versioni di Sweet Dreams (are made of this)? Tutte molto interessanti

Come si sente all’idea che tanti artisti, in questi anni, hanno fatto nuove versioni di “Sweet Dreams”? Per lei è un onore o crede che qualcuno le abbia sottratto qualcosa?

In questi anni sono state fatte molte versioni di Sweet Dreams, sì, è vero: alcuni artisti l’hanno suonata dal vivo, da Beyoncé a Marylin Mansion, fino a Pink e molti altri. Trovo molto bello il modo in cui si sono approcciati alla canzone. C’è chi ha realizzato una versione quasi spettrale, chi ne ha fatta una al pianoforte con la sola voce di una cantante ad accompagnare le note. Ma ci sono anche orchestre che l’hanno suonata, o addirittura chi ha riprodotto la canzone con il solo suono di un banjo. Ascolto tutte queste versioni, sempre. Ma a dir la verità, non sono una persona che ama guardare al passato. Per la prima volta, con The Eurythmics Songbook, porto dal vivo una retrospettiva di canzoni e album del passato. Per me è come leggere vecchi libri di scuola, ma soprattutto mi rendo conto di quanto, in quel periodo, ho sperimentato con suoni e generi musicali, dall’elettronica all’orchestrale, R&B, gospel, di tutto. Siamo stati fortunati perché le persone ci hanno seguito e sostenuto e, soprattutto, non hanno detto “Ecco, hanno cambiato il loro stile, questa non è più Sweet Dreams”. Quando è uscita Here comes the rain, oppure Who’s that girl, There must be an angel, Would I lie to you, Missionary Man o Sisters Are Doin’ it For Themselves, le persone hanno continuato ad ascoltarci.

 

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Parola chiave: sperimentazione

Ha iniziato il suo percorso artistico sperimentando, e voleva essere di libero di farlo. Ma ogni cosa ha un costo, anche la libertà di fare (o non fare) qualcosa. Crede ne sia valsa la pena?

Il mio essere libero e sperimentare ha dato vita agli Eurythmics e a nove album di questo gruppo. Fin da quando ero bambino sperimentavo cose folli, nella musica, e anche oggi continuo a farlo. Il film che abbiamo portato alla Festa del Cinema di Roma alcune settimane fa, dal titolo Who To Love (un film che vede la collaborazione tra Stewart e i Mokadelic) è una sperimentazione totale. Adoro queste esperienze. In un mondo creativo mi piace prendere qualcosa e inserirlo in un contesto che normalmente non è visto in quel contesto. In questo modo, la gente si troverà davanti qualcosa mai visto prima, musicalmente, visivamente, in ogni modo. E con le parole. Ci sono sempre un sacco di possibilità.

Il concerto a Milano

Non riesce a fare a meno di sperimentare, giusto?

No, non ci riesco proprio: devo assolutamente farlo, sempre. Ci sono persone che pensano che chi non rientra in determinati canoni debba essere “aggiustato”. Io credo l’esatto opposto, credo nell’importanza degli outsider, proprio come me. Bob Dylan una volta ha detto: per vivere da fuorilegge devi essere onesto. Ed è verissimo: dobbiamo essere sempre e solo fedeli a noi stessi.

 

Sarà a Milano e porterà il Songbook di una vita dedicata alla musica: felice di venire in Italia?

Moltissimo: sarà un concerto incredibile. Probabilmente saranno 22 canzoni suonate una dopo l’altra e credo che almeno 18 di esse verranno riconosciute alla prima nota. Nel corso degli anni è cambiato anche il mio modo di fare i concerti: scelgo più accuratamente i brani da portare, quindi questo sarà un live maturo, proprio come le mie canzoni. Sono entusiasta, veramente. Vi aspetto!

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