Al Verde, i suoi Numeri Primi sono la riconquista dell'identità: video

Musica

Il brano è un inno alla libertà dai ritmi imposti dagli altri, un ricercare quella vita lenta che ci riconnette con il mondo e ci allontana dall’alienazione

IL VIDEO E' INTRODOTTO DA UN TESTO ORIGINALE DELL'ARTISTA

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Numeri primi nasce dall’esigenza di voler raccontare qualcosa che sentivo di voler dire da un po’ di tempo e che ha preso forma sotto questa espressione artistica. È cresciuta sempre di più in me la consapevolezza di un mondo che gira a vuoto, senza una meta precisa, sprecando forze per lavori vani. Il tempo passa negli uffici e le persone vivono spegnendosi, quando non valorizzate. Ecco perché chi si rende conto di questo, chi si sveglia dal torpore, fa parte dei numeri primi, quindi speciali. Quando ho girato questo video, parlando con il direttore della fotografia Vincenzo Petroli, volevo creare dei quadretti in cui l’attrice protagonista, Alice Leccese, fosse paralizzata dal contesto: ogni luogo di lavoro è una gabbia che intrappola e tarpa metaforicamente le ali, rende omologato ogni impiegato, tant’è che la tuta da lavoro dell’attrice è sempre uguale ovunque. La svolta si ha quando attraverso la musica, la ragazza rinasce. Non è un invito alla leggerezza e alla vuotezza, è un inno alla libertà da ritmi imposti dagli altri. La vita lenta ci riconnette con il mondo e ci allontana dall’alienazione. Le carrellate in avvicinamento che ho studiato sono metaforicamente importanti, perché avvicinano lo spettatore alla protagonista, fanno letteralmente entrare nel microcosmo. Anche la similitudine del passeggino, nel parcheggio di un centro commerciale, porta la riflessione su alcuni obblighi sociali che per dogma si devono rispettare: chi l’ha detto che avere dei figli sia obbligatorio? Quante volte sentiamo donne che devono giustificarsi se non ne vogliono? Anche la scena del salone di bellezza rispecchia alcuni aspetti in cui “essere belli” è un dovere, imposto da un mondo platonico, con cui dobbiamo confrontarci, creato da qualcuno che non ci conosce.

Neanche la propria dimora ti libera dagli impieghi, ce lo ricordano spesso le videocall, i meeting, le riunioni che facciamo dal nostro divano, in cucina: il privato e la professione sono divisi da una linea sottile, così sottile che spesso viene ignorata. Non c’è più un momento in cui siamo da soli con noi stessi, questo perché siamo stati abituati sempre più a essere così. Sembra quasi che la conseguenza di tutto questo nell’interpretazione di Alice possa essere quindi sembrare assente, perennemente stanca, frustrata: una sensazione di torpore generico la avvolge. Invece ad un certo punto la svolta avviene, in linea e gradualmente, seguendo le dinamiche narrative. La parentesi fluo era quello che avevo pensato per contrastare l’apatia dei quadretti lavorativi: cantare un brano comunque positivo, dalle vibe R&B e chillpop, con la cassa in 4, legava bene con la tempesta di colore in controluce che si è creata. La parte in cui interpreto il brano con Alice è paradossalmente slegata, perché l’assenza, che l’aveva contraddistinta nelle altre immagini, sparisce per far posto ad una lieve spensieratezza. L’ultima inquadratura ci vede sempre in controluce, ma senza flash di colore, molto riflessivi, ci guardiamo dopo aver distolto lo sguardo dal nulla: siamo consapevoli ormai che questa parentesi di svago è terminata, si torna alla nostra quotidianità, pur essendo ‘numeri primi’.

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