Nuju: "La nostra Clessidra è un inno alla collettività, una spallata all'individualismo"

Musica

Canzoni che ci invitano a ribaltare il tempo della nostra vita, capovolgendolo di proprio pugno all’infinito. L'INTERVISTA

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Clessidra è il nuovo disco dei Nuju, in calabrese nessuno, pubblicato da Manita Dischi con edizioni Manita/iCompany/Sud Studio. L’album nasce circa quattro anni dopo Storie vere di una nave fantasma ed è il sesto album della band di origine calabrese ma "residente" in Emilia. Le undici canzoni che compongono l’album hanno avuto una gestazione lunga, interrotta anche dai due anni di pandemia. Alla fine delle registrazioni era comunque chiaro che in ogni brano si parlava del tempo e delle sue declinazioni, con l’immancabile ironia che contraddistingue la band. Ho approfondito il tema con Marco "Goran" Ambrosi, che in questo progetto cura chitarre, bouzouki e cori.

Marco c’è voluto molto tempo per costruire la Clessidra dei Nuju: ora che finalmente è libera dove ci accompagna?
Abbiamo iniziato a registrare prima della pandemia e infatti i primi due singoli sono usciti in quella fase. Mentre scrivevamo ci siamo resi conto che in quasi tutti i testi tornava la parola tempo: che cambia, che torna, vissuto in modo frenetico e che comunque si lega ai temi sociali, in particolare alla politica di redistribuzione del denaro e a quella climatica.
Avete mai avuto il dubbio che la macchina del tempo sarebbe stata più potente di una clessidra?
Mai pensato in realtà. Quello che facciamo è concreto, la macchina del tempo sembra un elemento fantascientifico. Cerchiamo di declinare il tempo a nostro favore. Per noi è un concetto concreto perché raccontiamo la realtà che ci circonda.
Già Giorgio Gaber non si sentiva italiano, ora voi ve ne vergognate: non è cambiato nulla? Il pezzo del Signor G è stato pubblicato pochi giorni dopo la sua morte e sono vent’anni. Anche voi per fortuna o purtroppo siete italiani? Anche se l’ultimo verso è recita "non lasciatemi qui".
I tempi rispetto a 20 anni fa sono cambiati ancora di più. Tempo prima Gaber aveva scritto Destra e Sinistra: all'epoca si capiva di più dove si stava e il luogo ideale dove inserirsi. La nostra vergogna fa riferimento a quando proprio gli italiani struprano la Costituzione. I padri costituenti uscivano dalla Seconda Guerra Mondiale e dalla Resistentza. Ci domandiamo se oggi è giusto seguire la contemporaneità; noi siamo felici di essere italiani e legati alle nostre radici culturali. La frase finale è critica verso i social: il messaggio è aiutateci a uscire dalla rete, è un inno alla collettività e una critica all’individualismo.
Temi più questa selva oscura o quella dantesca?
Quello era un sogno, quella di oggi è reale e fa più paura. Oggi ripeschiamo degli incubi: il fascismo c’è stato e per questo dovremmo essere tutti antifascisti. La paura è per le cose nuove, per sovranismi e nazionalismi, per il capitalismo sfrenato.
Trattare la vita con i guanti è una questione individuale oppure la società deve metterti in condizione di farlo?
Pensiamo che si un concetto individuale ma collettivo. Già noi siamo Nuju ovvero, che può rimandare al Nessuno di Ulisse come all'Uno Nessuno Centomila di Luigi Pirandello. Il gruppo e la collaborazione fanno crescere la collettività.
"Tu cinquemila amici e non li incontri": proprio la socialità è uno dei problemi di questa epoca, troppe vite degli altri e troppo mostrare la propria. Dite che in viaggio non si guarda più dal finestrino. Però ora in classe non ci sono più i cellulari: è un punto di ripartenza?
Sappiamo cosa è sbagliato, ci vorrebbe una patente per i cellulari. Come c'è un limite di velocità ci vorrebbe pure un limite di tempo per i cellulari.
Sopra l’equatore si capovolgono i punti di vista e la prospettiva, sotto l’equatore vorrebbero capovolgere il mondo: è la strozzatura della clessidra il punto di incontro? E quello l’equatore della fratellanza e dell’accoglienza?
Quella mano che stringe il centro della clessidra è la stessa che dovrebbe prendere in mano il proprio destino e fare delle scelte. Ora il divario c'è anche tra Est e Ovest per quanto meno conclamato. Ma dal Sud del mondo possono arrivare stimoli di crescita: aiutiamoci tra noi per cambiare le cose.
Cosa c’è in mezzo tra Mi Sono Perso e Tempo Perso: si è ancora persi in un altro universo oppure cominciamo col cambiare il destino visto che cambiare la natura non è possibile?
Riflettiamo sul fatto che ognuno ha condizioni di vita che nascono con lui. È possibile cambiarle? Se non lo facciamo è tempo perso, se ci riusciamo ci miglioriamo.
Sia in Titoli di Coda che in Tempo Perso si parla di attesa: è un tema che vi inquieta?
L’attesa è il tempo per pensare, poi inquieti lo siamo di natura. Il nostro primo album è del 2010 e nel 2023 siamo arrivati a sei e oltre trecento concerti. Ma ogni tanto bisogna fermarsi e guardare che ci accade intorno e comprendere come muovere nuovi passi.
Quale è il vecchio disco che suona per te?
Un album come Creuza de Mà è importante per le radici etniche della band. Poi Rino Gaetano con Mio Fratello è figlio Unico. I vecchi dischi servono per capire ciò che di buono è stato fatto e per rimodificarlo a nostro piacimento. Anche Sgt. Pepper's dei Beatles ha un ruolo centrale per i Nuju.
Basta è una canzone di una durezza inusuale e cito di nuovo Giorgio Gaber con Il Dilemma: oggi è difficile essere coppia?
Sì perché spesso ci si dimentica che si cresce insieme. A volte la voglia di mescolarsi e capire l‘altro viene messa in discussione. Io sono parte di una coppia consolidata, sono padre ma osservando i giovani vediamo che la coppia fatica ad affrontare le difficoltà della vita quotidiana.
Gira è un brano di profonda inquietudine. Vorresti fermare il mondo affinché potesse aspettare chi è in ritardo nella vita? O siamo ai margini del mondo e della vita stessa?
Ogni tanto fermiamoci e aspettiamo. Non tutti abbiamo gli stessi tempi. Chi capisce prima deve fermarsi. Chi arriva in alto spesso crede di non dovere più spiegare nulla. Qui c’è l’essenza della collettività.
L’idea che un Paese ci vuole la ha espressa molto bene, a mio avviso, Cesare Pavese ne La Luna e i Falò. Oggi siamo più radici o cicatrici?
La vera differenza non è tra Nord e Sud ma tra capacità di essere comunità o no. È molto italiana l’idea della famiglia che è lì che ti aspetta. Se guardo la mostra relatà penso a Ndrangheta e pressapochismo che sono tra le tante cicatrici nella nostra Calabria: ma, cambiando nome, le trovi ovunque.
Che accadrà nelle prossime settimane?
In primavera si parte in tour tra Italia, Francia e Germania. Sperando che ci sia l’opportunità. Il nostro lo definiamo un live comico-drammatico perché facciamo pensare mentre ci divertiamo.

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