The Bastard Sons of Dioniso si (e ci) interrogano: Dove sono Finiti Tutti?

Musica

Fabrizio Basso

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Anticipato dai singoli Tali e Squali e Ribelli altrove e da un lungo tour nell’estate del 2021 che ha visto il trio trentino confermare il supporto del numeroso pubblico che da sempre segue l’intensa attività live del gruppo, arriva l’ottavo capitolo che si aggiunge alla lunga discografica dei TBSOD. L'INTERVISTA

Otto tracce di puro rock in perfetto stile The Bastards Sons of Dioniso, in cui il suono giunge denso e carico di energia ad abbracciare le tre voci del gruppo sempre armonizzate con cura. In uscita in digitale e in formato Vinile, Dove sono finiti Tutti?, l’album della band trentina, seconda classificata a X Factor 2009, è concettualmente pensato in due lati, con un side A in cui a farla da padrone è un’ambientazione sognante e marina fatta di spiagge, isole, squali, e un side B in cui è la dimensione dell’altrove a regnare. Di questo lavoro che viaggia su (almeno) tre piani di lettura ho parlato con Jacopo Broseghini.

Partiamo dalla storia dell’album: quando e come è nato?
Nasce con noi, in questi 19 anni insieme siamo arrivati a questo. Ti Piace o No? è del 2006. L’ultima è stata scritta dodici ore prima della chiusra del disco ed è Restiamo Umani. Tante volte rimangono canzoni da parte ma siamo sempre in evoluzione. Lavoriamo sempre come se fosse sempre il primo album.
Cosa vi ha portato a dividere l’album in due parti?
Abbiamo scelto come formato fisico solo il vinile. Il disco va ascoltato in sequenza, di fronte a una divisione palese e abbiamo deciso di fare una parte da pirati e l’altra antropologica che guarda l’uomo per capirsi. Siamo troppo succubi di noi stessi. In Restiamo Umani ci sono tre tipi di lettura e poi l’ascoltatore sceglie la sua.
Bastano le sirene a restituirci il sonno e i sogni o anche loro, in questo mondo in guerra, possono solo incantarci ma non restituirci la quotidianità?
Noi siamo fortunati perché viviamo la quotidianità e abbiamo solo immagini e pensieri in più. Ho visto molta solidarietà e questo ci avvicina, è un bel passo per l’Europa ritrovarci uniti. La gente è felice di tornare sotto il palco, ci sentiamo fortunati a essere lontani da quel livello di sofferenza. Lo dico anche con un po’ di vergogna.
Quale è il mistero più urgente da trovare e svelare?
Sono domande troppo massime. Cerchiamo di stare bene nel nostro piccolo e di presentarci per quello che siamo. Bisognerebbe non averne mai bisogno e trovare la pace nelle piccole cose. La musica la facciamo per divertirici non per raggiungere obiettivi più grandi. La musica ci ha aperto le porte dell’Italia.
La vita sarebbe più bella se ognuno avesse sul comodino una sua Amazzonia?
Ce la abbiamo già, c'è sempre meno bisogno di interfacciarsi perché abbiamo mezzi che ci permettono dire sempre la nostra. Quella Amazzonia è la libertà di scegliere e capire quello che si vuole. La verità va cercata dal singolo individuo. Non mi sento di dover rispondere a bulli o a chi ha preconcetti.
Per altro L’Isola di Chi è molto melanconica tra frigo chiuso ed edicola che deve riaprire: è reale o è un’isola che non c’è?
Alla fine il testo nasce dalle fasi di lockdown. Si cerca sempre una via di fuga. Ma noi stiamo bene qui, si convive con le situazioni. E’ un disco emozionale, ci sono parole alte, meterologiche o acquatiche che portano a una comprensione filmica del testo che lavora sulla soggettività. Vuole fare scaturire emozioni. E’ L’Ora parla di uno scalatore trentino e molti la leggono come una canzone d’amore…all’inizio cercavamo di fare capire il nostro pensiero poi abbiamo compreso che non è possibile perché ogni parola fa scaturire una emozione differente in ogni persona.
Il cuore e l’amore hanno lo stesso valore del sangue per gli squali ovvero un richiamo? E su quali frequenze si muovono visto che oggi l’amore è social?
Noi siamo tutti a posto. Chi ha vissuto, da adolescente, l’isolamento nell’amore non so come si approcci. Io sono stato sempre regolato dalla casualità. Trovarsi per caso è il modo dei giovani per innamorarsi a un concerto. Ed è bellissimo.
Quali sono i colori della sera acida?
Penserei subito al verde. Ma è sempre meteorologico. E’ un gioco mentale vedere una cosa che si sposta di luogo in luogo come la notte mentre la rotazione terrestre fa il suo corso. Il brano parla del bisogno primigenio di incontrarsi. Smettere con i concerti è anche smettere con la musica e non ha senso. Il timbro dei dischi siamo noi.
Abbiamo smarrito anche l’arcobaleno?
Quello c’è. E’ super ambiguo il ritornello ma l’arcobaleno è quello di chi soffre così tanto ma se le incontri ti trasmette luce. Tu non la vedresti nella loro situazione ma loro trovano comunque speranza e forza. Serve sempre un po’ di speranza.
Che umanità mettete in Restiamo Umani?
La nostra visione è disincantata, c’è una umanità violenta. La prevaricazione della violenza verbale trasmette fastidio. Ma sentiamo, a volte, il bisogno di essere gradassi. Una volta con solo quattro giornali non sapevi dove era la verità, oggi è ancora più complesso. Forse l’uomo non capisce di avere dei bisogni. Il nostro è uno sguardo tenero. E’ un grido a guardarsi e capirsi.
Verso dove bisogna viaggiare per spendere la realtà nel miglior modo possibile?

Io ho la passione dei fughi e della metallurgia. Serve lo stimolo, serve passione.
Quale è l’ultimo sbaglio che hai fatto e che rifaresti? Magari all’infinito.
Mi sono fatto malissimo al polso per saltare sul palco ma ha fatto suono così forte che tutti si sono messi a ridere e lo rifarei. Ho scelto quello che ho fatto e mi accollo tutte le conseguenze.
Qualcuno comincia a tornare oppure non avete ancora scoperto dove sono finiti tutti?
Abbiamo iniziato a scoprirlo: dove sono le persone che ci hanno aperto club e festival? E’ una domanda anche auto-ironica: dove siete finiti? ci hanno chiesto. Siamo sempre qua con noi stessi.
Che accadrà nelle prossime settimane?
Il tour è partito e stanno arrivando date fino a dicembre. Le pubblicheremo sui social. Le prime confermate sono Milano, Arezzo, Torino, Levico e poi andiamo verso Sud, a Napoli e Taranto.

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