Un album costruito come un raccoglitore di fotografie. La band toscana si prepara a portarlo in tour e intanto pensa già a un nuovo lavoro. L'INTERVISTA
Si chiama, campanilisticamente, Campo di Marte, l’album d’esordio della band toscana Cassandra. Raccoglie storie che ci sfiorano, che guardiamo distratti con la coda dell’occhio, finché qualcuno non le raccoglie, le trasforma in canzoni, le canta e ce le butta addosso. Momenti di vita, polaroid che segnano il ritmo di giorni da ricordare e da dimenticare: questa l’unica ricchezza di un autore ovvero saper cogliere l’attimo e metterlo a fuoco. Ho commentato il loro lavoro, griffato Mescal, col frontman Matteo Ravazzi.
Come nasce l’album? Perché un titolo così identitario? Ascoltando il brano si percepisce un desiderio di fuga lungo i viali che però non avverrà mai….vi siete voltati indietro e siete rimasti?
Campo di Marte ha un parto molto lungo, il covid lo ha congelato ma i pezzi si sono stratificati perché abbiamo continuato a scrivere. Il titolo è un punto di partenza, racconta dove abbiamo vissuto ed è da lì che si parte per andare via, la vita è oltre Monte Morello. Nel disco c’è la nostra gente.
Perché la radio suona Sally? I contorni della routine sono rassicuranti oppure sono costrizione?
Nella costrizione si sta bene ed è la fregatura. Piano piano mortifica…Vasco è così dentro ai nostri ascolti che è stato naturale citarlo. E’ quello che siamo noi, ci è entrato nelle vene.
La Para(noia) è finita? Oggi chi si merita di più?
Non finisce mai. Chi merita di più? Chi è arrivato in fondo a questo lutto, è una elaborazione. E’ un moto di orgoglio.
Anche in Ti Auguro tutto il Peggio che c’è e in Cassandra si percepisce un senso di rivalsa umana e affettiva. In sostanza è meglio nuotare da soli?
Il messaggio è che prima bisogna stare bene con noi stessi e poi stabilire rapporti veri.
La Cassandra della canzone esiste davvero o è una citazione? Per altro c’è anche il rischio di identificazione con la band.
E’ una catena di eventi. Una sera su un muro abbiamo letto Cassandra mi manchi e ci siamo chiesti chi potesse essere. Essere un artista significa da una cosa piccola farsi delle idee grandi. Non siamo mai stati bravi con i nomi quindi ci siamo detti che il nome è figo, ce lo hanno servito su un piatto d'argento e dunque ce lo siamo tenuto!
Il lunedì resta un giorno da evitare?
Sì sempre. E’ quello che rappresenta, tornano le paranoie, il mutuo, la posta, insomma è il ritorno alla realtà.
Se oggi dovessi raccontare un finale da brividi, quale sarebbe?
Noi che suoniamo su tutti i palchi d’Italia.
Del 2020 non salvate proprio niente? Resta un brutto sogno?
Nonostante la catastrofe ci ha fatto scrivere molta roba bella e si è consolidato il rapporto con Mescal. Ci ha fatto capire tante cose che diamo per scontate, a partire dai live…che ora sono la conquista. E poi che nel nostro mondo occorrono regole e professionalità, il musicista deve essere preso sul serio.
Come è nata Kamasutra?
In origine si chiamava Sempre più di me poi il produttore lo ha un po’ mescolato. Mi immaginavo una atmosfera East Coast.
La geniale forma di mediocrità è la via per realizzare un po’ di quei sogni che non bastano mai?
E’ capire i proprio limiti e una volta trovati estrarne i punti di forza e sfruttarli. Non si è tutti John Lennon, se hai un talento va capito in fretta per andare mirati sull'obiettivo.
In Kate Moss si parla dell’attesa di un evento nucleare: vi inquieta il fatto che possa davvero accadere?
Ci sono anche in altri pezzi quei tipi di riferimenti; è anche vero che sta cosa del nucleare, dell’evento catastrofico…bisognerà imparare a conviverci con questa ansietta.
Che accadrà nelle prossime settimane, oltre al tour?
In estate vogliamo continuare a suonare. Durante l’estate lavoreremo già sul secondo album. Abitualmente scriviamo non pensando al disco, abbiamo già una cinquantina di pezzi pronti.