Uno spettacolo ricco di emozioni per rivivere insieme al pubblico i momenti più importanti del suo percorso artistico. L'INTERVISTA
Quello che doveva essere un tour per raccontare un disco è diventato un viaggio nella storia. Enrico Nigiotti è uno dei pochi artisti in tour in questo periodo. Quasi due ore di live e la certezza che la paura non entra a teatro. Sul palco è accompagnato da Fabiano Pagnozzi (pianoforte, hammond, cori e direzione musicale), Mattia Tedesco (chitarre), Antonio Galli (basso) e Marco Fuliano (batteria e cori). Le prossime date saranno Milano, Napoli e Torino.
Enrico finalmente si riparte: le sensazioni dopo le prime date?
Stranissimo, quello che balza agli occhi è che nonostante l’esaurito ci sono dei buchi, la paura prevale. Mi dispiace ma è talmente bello il tutto e la gente sembra che liberi l’energia nascosta nell’ultimo dell’anno.
Sei uno degli ultimi sostenitori dell’analogico: ti senti una mosca bianca?
Lo sono sempre stato anche in famiglia. Mi sono sempre interessato poco a quello che piace agli altri, forse anche per pigrizia. Sono quello delle osterie, pure col vino da mal di testa. Prediligo le robe ruvide, dove sono le mani che danno il tempo. Ho le stesse chitarre da quasi vent’anni, la musica è nelle mani più che lo strumento.
Per questa ripartenza hai pensato a una scaletta speciale? Con cosa apri e con cosa chiudi?
Doveva essere un tour di promozione dell’album 2020 Nigio e invece è diventato un excursus della mia carriera, considera che siamo fermi da due anni. E’ uno show curato nei minimi dettagli. Ci sono una parte acustica e una elettrica. I miei musicisti sono dei mostri e anche io sono bravino con la chitarra e mi concederò qualche assolo. Parto con Bomba dopo Bomba e chiudo con L’ Amore è, che resterà il mio commiato per sempre.
Nel concerto vedremo delle immagini? Para El Sol sarà accompagnata da te adolescente?
No, solo giochi di luci, nessun elemento distraente. Ti dico che la prima data, a Livorno, il chitarrista e i tecnici hanno pianto per essersi ritrovati dopo due anni. E’ una avventura, siamo in pandemia ma bisogna ricominciare. Bisogna vivere e io sono orgoglioso e felice di questa famiglia.
La gente ha voglia di musica: tu percepisci l’entusiasmo dal palco? Stanno ai loro posti?
Noto molta regolarità, solo sui palchetti a volte si sentono più liberi. E’ naturale che la paura ci sia sempre. Un concerto non cancella la paura ma per due ore quello che è fuori non esiste, viviamo una cosa nostra.
Tra poco è di nuovo Sanremo: tu che ci sei stato tre volte che consigli dai a chi ci va per la prima?
Alla fine è la canzone il solo maglione per non prendere freddo. Con Nonno Hollywood mi hanno detto anche cose brutte ma non me ne fregava niente, quel brano era un filo che mi legava a un’altra cosa. Un consiglio? Emozionarsi!
In questi mesi abbiamo avuto molto tempo per guardare la luna e parlarci: come sono state le tue Notti di Luna?
Io mi sono trasferito a Capraia, isola abitata da circa 80 persone in inverno. Ho scelto di isolarmi con la mia ragazza e i cani. Mi ha lasciato un ricordo positivo di questi due anni di pessimismo. Lì si vede la via lattea e la luna è a distanza di un bacio, lì mi ritrovavo la sera, magari dopo una cena a parlare con la luna. Ho rinunciato anche alla comodità di casa: le sigarette andavano acquistate al mattino perché al pomeriggio non potevi sapere se il tabaccaio era aperto e non c’era il distributore automatico; c’è un solo posto di alimentari. Insomma un ambiente bucolico. Ma ora ho bisogno di gente.
Stai lavorando a un nuovo progetto?
L’idea è finire il tour e scrivere cose nuove. Ma senza fretta, il futuro non è domani ma fra mezz’ora e in un’ora ce ne stanno due. Credo nella calma nonostante sia una persona istintiva.
La musica, e l’arte in generale, sono i grandi sacrificati della pandemia: quanto dovremo attendere per una legge articolata sullo spettacolo?
Non esisterà mai; io sono contento di fare il mio mestiere da piccolo artigiano. Continuo a fare il mio quello a denti stretti e pugni chiusi. Non cerco aiuti perché non esistono e comunque mai li ho avuti. C’è gente che ha cambiato mestiere in questi mesi e spero che i politici lo capiscano.
Una delle tue grandi passioni è il Blues: ci pensi per il futuro a un progetto mirato?
In Nigio c’è molta chitarra. In futuro vorrei farne uno blues in italiano ma non di quelli che scimmiottano: voglio il folk blues con tanta chitarra. Il mio babbo non suona nulla tranne i campanelli delle porte ma è grazie a lui che faccio musica. Mi portò al concerto di Dalla-Morandi che avevo cinque anni e cantavo Bella Signora con tanto entusiasmo che la gente guardava me e non il palco. Tra John Meyer ed Eric Clapton cercherò di mettere il mio folk blues.