Il disco live registrato al Festival Pomigliano Jazz presenta le affascinanti reinterpretazioni della poetica di Joni Mitchell, Bob Dylan, Tom Waits, Paul Simon, David Crosby, Billy Joel. Sul palco anche Julian Oliver Mazzariello, Enzo Pietropaoli e Alessandro Paternesi. L'INTERVISTA
Sempre pronta a stupire. Maria Pia De Vito, cantante e compositrice di fama internazionale, pubblica (link diretto: https://tag.lnk.to/dreamers-live), con la sua etichetta MPDV records, l'album Dreamers Live, versione dal vivo dell'omonimo disco Dreamers uscito nel 2020 con Jando Music/Via Veneto Jazz, che ha riscosso grandi consensi di critica e di pubblico, segnando una tappa importante nella carriera di Maria Pia De Vito. Registrato il 30 settembre 2020 in occasione del Festival Pomigliano Jazz, Dreamers Live propone le reinterpretazione della poetica musicale di Joni Mitchell, Bob Dylan, Tom Waits, Paul Simon, David Crosby e Billy Joel, attraverso brani come Chinese Cafè, Rainbow Sleeves, Times are a changing e Questions for the angels.
“Trovo questi brani ancora attualissimi, esprimono riflessioni sul privato o una critica feroce della società e della politica che risuonano nel nostro presente - spiega l'artista -. Mi è piaciuto parlare attraverso la voce di questi autori che per la mia generazione sono stati così importanti, avendo indicato dei modi diversi di vivere, meno borghesi e più «giusti»".
Quando nasce l’idea di questo album e come hai ragionato sulla scelta dei brani?
L’idea di base è pre-pandemica, era il periodo delle fake news, dei sovranisti e sentivo il bisogno di dire qualcosa su quello che stava accadendo, pensando anche alle idee progettuali degli anni Sessanta portate avanti nel tempo. Avevo brani già conosciuti e amati e ci ho costruito una storia. Prendiamo Joni Mitchell che racconto con tre brani: Carey, Be Cool e Chinese Cafè rappresentano tre momenti della sua vita.
Ti ritieni una dreamer?
Si anche se stoica nella mia visione della vita, con i piedi per terra. Solo libera da illusioni.
Non credi che molti artisti della generazione di Bob Dylan ci abbiano veduto una illusione di cambiamento?
Il mondo è fatto di eterni ritorni, ogni tanto c’è una primavera di riscatto e miglioramento. All'epoca io non ero partecipe, a posteriori li ho guardati con un po’ di distacco. A me hanno interessato la visione e le differenze sociali; prendiamo Paul Simon: nel brano da me scelto canta quanto può essere sordida la politica e quanto assurdi possono essere i meccanismi del potere.
Abbiamo detto che racconti Joni Mitchell in tre differenti momenti artistici del suo percorso: in cosa è ancora cool?
Nella grande indipendenza di giudizio, come dal primo momento. Ha un modo di comporre asimmetrico, è passata per elettronica e rock, il suo ibridare è molto moderno, è una musa abbracciata da cinque generazioni.
Si sente una jam molto libera: lo hai posto come elemento cardine?
Parto dal jazz, il disco è uscito per mostrare a un pubblico più vasto la bellezza di questo gruppo. Non siamo un juke box.
Che un pezzo come Pig Sheep and Wolfes si ancora così attuale ti inquieta?
Molto e mi inquieta anche il fatto che di fronte a queste ondate pazzesche tutti strepitano pensando di essere rilevanti mentre siamo destinati all’irrilevanza, dobbiamo recuperare una dimensione personale, ai giovani serve progettualità. Ora sentono la fretta del disco e dell'esserci e manca il tempo per sentire e pensare.
L’essenzialità con cui esegui And so it goes può essere una indicazioni sul tuo percorso artistico?
Di per sé è quasi un inno, parla di intimità. Lo ho interpretato come una preghiera, negli ultimi anni ho iniziato ad asciugare ma non so quale sia il mio futuro. Faccio cose sempre diverse per stimolare la curiosità.
Parti con un brano di dieci minuti: bella soddisfazione nella stagione delle radio edition!
Chinese Cafè è complesso, bello, lungo e dunque necessitava del suo tempo.
Che ricordi ti porti di Ravello e cosa stai preparando a Bergamo?
Ravello è un Festival storico che ha dedicato una sezione al jazz. Di Bergamo abbiamo appena pubblicato il programma, è una esperienza diversa perché è una rassegna storica di jazz che andrà in scena dal dal 17 al 20 marzo 2022.
Essere definita una sperimentatrice è per te motivo di orgoglio?
Mi sento sperimentatrice perché amo lavorare sulle prossimità tra linguaggi. Dreamers è il primo disco dove non c’è qualcosa di mio ed è un esperimento della mia vita.
A un adolescente che ti chiede cosa è il jazz che rispondi?
Una pratica musicale che nasce tra la cultura europea e quella africana in territorio americano e fa del meticciato e dell’improvvisazione la sua forza. È come un biglietto per ovunque, per dirla con Wayne Shorter.
Parli della genialità di Paul Simon, della poetica polifonica di Crosby… un aggettivo per te?
Non lo so, non sono brava a parlare di me stessa. Mi sento fiera e delicata, la musica è il mio essere nel mondo.
Che accadrà per Natale?
Sono stata invitata da Tosca in una diretta per uno dei suoi incontri online, ci saranno anche Irene Grandi, Joe Barbieri e altri musicisti; sarà il 21 dicembre. Poi sono in ballo con un progetto sulla poesia e un altro con Rita Marcotulli.