Fabio Curto racconta come si diventa una persona migliore in Rive Volume II
MusicaDopo un periodo che lo ha visto rilasciare nuovi brani e preparare il terreno a un’evoluzione stilistica e poetica, il cantautore e polistrumentista pubblica il suo terzo lavoro discografico che prosegue idealmente il percorso tracciato da Rive Volume I, approdando però ad atmosfere più luminose
Poche volte ho respirato letteratura in modo così intenso ascoltando un disco. Ovvio che un certo cantautorato si è sempre nutrito di letteratura, rendendola più popolana, ma Fabio Curto, nel suo nuovo album Rivo Volume II, ha fatto un lavoro più sottile: come in una caccia al tesoro i germogli letterari vanno cercati e non è detto che quello che trova l'ascoltatore sia il medesimo pensato dall'artista. E questo possibile sparigliamento rende tutto più affascinante e intrigante. Come anche la collaborazione con i Modena City Ramblers, che in alcune circostanze hanno invitato Fabio Curto ad aprire il loro concerti.
Fabio quando nasce l’album? Il lockdown lo ha frenato o ti ha permesso di lavorarci ancora?
Nasce subito dopo la vittoria a Musicultura, è stata la conferma della direzione dell’album. Il primo era più blues che country, ma abbiamo scoperto che con chitarra, violoncello e pianoforte si può vincere. C’è un pubblico che, in un ascolto, ama anche i silenzi. Il lockdown non ha avuto alcun impatto, anzi mi ha dato il tempo per provare o fare provini, per portarli avanti e avere un ventaglio di scelta più ampio.
In Herman Hesse compare Boccadoro: ma senza Narciso…perché?
Perché è l’elemento bacchettone del libro, quella parte della coscienza che spinge verso una vita più ligia. Boccadoro è così suscettibile alla bellezza da restarne ferito. Narciso non è citato ma c'è come ci sono più voci narranti, ci sono persone tribolate. Anche questa è un'ode alla terra.
Possiamo dire che la tua musica ha lasciato la natura matrigna per avvicinarsi a madre natura?
C’è più cemento e bitume nel primo, qui restano una strada di campagna e un tramonto. La luminosità lo comunica, le suggestioni sono sempre state il motore della mia scrittura, qui ho raggiunto il livello più alto di espressione, di individuzaione di un messaggio da comunicare.
In Madre Terra c’è nostalgia, c’è tenerezza: i sogni restano sempre oltre le colline?
I sogni veri sono quelli che ti mandano oltre: io non sono mai stato su quelle strade americane che molti hanno sentito nell’album, quelle dove viaggi con i finestrini aperti e senza aria condizionata ma la mia immaginazione ci è arrivata.
Il concetto di Terra, inteso anche come paese, come luogo, è una costante della tua musica: dove è il suo fascino, dove è la sua perfezione?
La perfezione è che non ci vivo e dunque lo ho idealizzato, ho idealizzato la mia terra natia, la calabria, come musa ispiratrice. Vedo il potenziale della mia terra e so ce potrebbe essere grande. Ma è la sua imperfezione che me la fa sognare e la rende oggetto di nostalgia. C’è un motivo se siamo andati via. Penso all'educazione dei miei nonni e a un mondo che non esiste più: basti pesnare al valore dell'umiltà e e di una stretta di mano, il sudarsi le cose. Ricordo uno schiaffo perché trovai 5 euro per terra e li portai a casa senza preoccuparmi di guardare se qualcuno cercava 5 uero smarriti. Ad Acri, la mia città, c'è un mondo simile a quello di Narciso e Boccadoro.
Il mio cuore è un messaggio di verità: ma ognuno ha la sua o esiste quella assoluta?
Non esiste quella assoluta, nessuno la sa perché la sanno tutti. Il detto al cuore non si comanda elude le regole sociali cui bisogna sottostare. Conosciamo la nostra di verità ed è abbastanza.
Lo zaino di acqua e fuoco è sempre con te? Oppure la giostra oggi gira con altri elementi?
Quegli elementi servivano per accendere grandi fuochi e spegnere grandi incendi dell’animo. Oggi cerco di stare nel giusto, scavo in me con più onestà. Una volta non era emozionante migliorare gli errori, anzi emozionava sottolineare il carattareaccio. Serviva l’acqua dunque. Oggi voglio essere una persona migliore, cerco un rapporto empatico sempre maggiore.
Il fischio di Puoi Svegliarti Felice è lo stesso del treno di Luigi Pirandello?
Non saprei, ma so che vuole cullare quella sensazione di essere sempre sul filo teso tra giusto e non giusto. L'accostamento con Pirandello ci sta: c’è il senso infinito di attesa ma anche una risoluzione perché si continua a fischiare. Il pritagonista è disperato, ha gli artigli infondo alla pancia ma lascia la mancia, non si lascia ferire dalle avversità del mondo.
Cosa rappresenta per te oggi la parola stupore.
Tutto ciò che ho visto una volta e che mi ha regalato emozioni anche in quelle successive nonostante la conoscenza e l'assenza del gusto dell’inedito. Stupirsi della quotidianità è diverso da stupirsi dalla novità. Io aspetto la primavera per ritrovarne la bellezza, la mia mente la dimentica per riviverla.
Chi è Rebeca, cui dedichi una canzone?
E’ la mia compagna, una componente importante degli ultimi anni della mia vita. La partecipazione a un talent mi sconvolge l'esistenza e lei c’è sempre stata, anche a luci spente, con i ritmi lenti che aiutano a riprendere il respiro. Voglio solo prendere la tua mano e andare...le dico.
Ora sai dove sta e quale è la tua parte migliore?
Ho sempre paura di rispondere perché può diventare altro. E’ quella che comprende lo stato d’animo delle persone ma servono un certo feeling, assenza di arroganza e voglia di aprirsi.
Che accadrà in estate?
Il 9 agosto parto per la Russia: presenzierò alle serate finali del Festival Internazionale “New Wave” di Soči, unico italiano. Un impegno che mi occupa tre settimane. Al rientro ho un paio di concerti in Umbria, poi il 4 settembre a Ferrara. Ho già testato la band e sono contento: il live o è come l’album o si spariglia e in questo caso va comunque rispettata la delicatezza dei suoni. Credo di essere in una fase musicale interessante per un tour nei teatri.