Il tour, annunciato per il 2020 e più volte rimandato a causa della pandemia, partirà in questa estate 2021 e riprende il nome dall’album Opplà del 1993, che simbolicamente racconta e rappresenta il periodo creativamente più fertile della band campana nel decennio 1990/2000. Il 28 giugno alle ore 20 saranno a Bollate, al Festival di Villa Arconati FAR
Quarantun anni sono passati dalla nascita degli Avion Travel e uno solo da quel quarantesimo anniversario che si disponevano a festeggiare con un lungo tour. Un tempo anche di riflessione, durante il quale il gruppo ha lavorato su un’idea di canzone più essenziale e agile, più adatta allo spirito di questi tempi difficili. Così il loro suono inconfondibile, quell’impasto di sapienza e ironia, leggerezza e profondità, carezze e carreggiate, prenderà un nuovo corpo in questo tour 2021 simbolicamente intitolato Opplà, come l’album del 1993, periodo fertile e creativo come pochi.
Un’occasione molto aspettata per festeggiare insieme una delle band più longeve e raffinate del nostro Paese. Ne ho parlato con Peppe D'Argenzio, il sassofonista (e non solo) della band.
Quando avete saputo che la musica ripartiva quale è stata la prima reazione?
Molto pragmatica e realista, ci avevamo creduto anche l’estate scorsa. Abbiamo esitato l’anno scorso ma stavolta ci siamo detti comunque vada partiamo. Una mossa rigenerante per noi.
Come è strutturato il concerto? Ci saranno le chitarre o rispetterete ancora la scelta fatta in onore di Fausto Mesolella?
Le chitarre rientrano timidamente perché sono parte della nostra storia, rientrano con umiltà perché non si può recuperare quella mancanza, ma ora abbiamo elaborato il vuoto ed è un omaggio dovuto. E’ divertente anche scambiarci i ruoli sul palco, è un mettere a fuoco una idea che vorremmo utilizzare in passaggi successivi.
Visto che è il tour dei 40 anni seguirete un ordine cronologico dei brani?
No, sarebbe da lezione di storia mentre la scaletta deve avere una sua drammaturgia; ci sono pezzi che aprono o chiudono e altri che voltano pagina. Qualche pezzo è rimasto fuori, ovviamente. E’ anche la raccolta dello scontento del tempo nel senso che proporremo brani poco noti del nostro repertorio.
Dunque l’Opplà Tour è anche una occasione per proporre brani negli anni dimenticati?
Te ne cito un paio: Orlando curioso e Via delle Indie. Poi ci sono alcuni pezzi ai quali non possiamo rinunciare. Esistono pezzi che per consuetudine ci venivano bene e li abbiamo messi sempre in prima fila. Faremo riassaggiare cose messe in disparte con nuovo musicista, Duilio Galioto.
Bellosguardo è considerato l’incipit della vostra storia ed è del 1992: del periodo precedente cosa resta?
Poco, c’è una grande distanza, quei dieci anni li consideriamo la nostra prima gavetta. Abbiamo anche inediti degli anni Ottanta ma la distanza è tanta e andrebbe inquadrata se no è spiazzante.
Definire il vostro manifesto la trilogia dell’Omino non è un po’ limitante?
E’ per noi un motivo di affetto ed emozione, quella trilogia è rievocare un periodo, siamo consci della nostra storia e della nostra situazione attuale. Non strepitiamo per la popolarità, ci poniamo solo la questione di suonare, ci legano la storia e la curiosità di trovarci ogni tanto e vedere che ognuno si mette in gioco. Alla trilogia aggiungo Cirano: quello è il nostro decennio chiuso con vittoria a Sanremo.
Quando parlate del 1993 e dell’album Opplà vi guardate con tenerezza o siete solo lontani parenti?
Ci guardiamo con tenerezza perché abbiamo imparato tante cose da quel periodo, ce la siamo cavata anche con tanti limiti, l’esperienza ce la siamo fatta sul campo, il musicista si mette sempre in discussione e studia, cambiano anche strumenti e competenze ma il candore è il punto di riferimento.
Il tour all’estero da cui è nato Vivo di Canzoni vi ha dato un respiro internazionale: vi considerate degli apripista? C’è anche il Best Of dei primi anni Duemila solo per il mercato estero.
E’ stato un momento importante perché ci ha fatto mettere a fuoco su un orecchio internazionale, per capire se il nostro suoni poteva essere riconosciuto come prodotto italiano ma con originalità. C’erano meno interferenze individuali private epiù libertà poi la vita è cambiata con le famiglie e i figli. Tenevamo concerti nei club con costi molto bassi, lo facevamo a condizioni militanti. L’eco di quel lavoro si ritrova perché restano i contatti, penso ai concerti a Parigi e Bratislava. Poi resta la riconoscibilità di un prodotto italiano.
Raccontare 40 anni abbondanti di storia in due ore non è facile.
Ci sono stati periodi di crisi personale ma mai abbiamo creato una scaletta con manuale Cencelli. Prima c’era la sala prove oggi c’è una individualità. Manteniamo la libertà di scegliere le canzoni con coerenza.
Il corso del nuovo fiume parte da Buenos Aires: perché?
Il singolo Il Fiume è una coincidenza che racconta chi siamo adesso. La suggestione è nata a Buenos Aires a Peppe Voltarelli. Si sono aperte delle strade nelle nostre vite e abbiamo conosciuto musiche, storie paesi…una cosa comincia dove ci sono suggestioni.
L’estate oltre che un tour sarà lavoro in studio?
Speriamo ci si riesca perché viviamo un incrocio di calendari. Viviamo con amore ritrovarci in sala prove, c’è un clima bello. Duilio so è subito integrato, non volevamo un turnista ma un musicista che avesse con noi affinità di gusti. Appena possibile uscirà il disco.