E' l'album più contaminato di questa band che ha radici ovunque e in nessun luogo. Sono canzoni di accoglienza costruite da un gruppo che non ha mai avuto paura di mettersi in gioco
Raccontare la realtà, anche triste, col sorriso è la magia che creano i Selton ogni volta che fanno uscire la musica dai loro strumenti. Daniel Plentz, Eduardo Stein Dechtiar e Ramiro Levy sanno abbracciare l'umanità intera senza dimenticare la propria identità. Più punti di osservazione aiutano a guardarsi intorno e a esprimersi meglio. I testi di Benvenuti sono tutti in italiano, con giusto qualche intrusione di altre lingue, ed è la prima volta per questo gruppo. Li conosco, li seguo, li stimo dal 2014, quando con Banana à Milanesa mi hanno divertito e affascinato per il loro modo spavaldo ma rispettoso di giocare con la musica italiana. Non hanno mai copiato se stessi, la loro anima rifugge la confort zone. E lo hanno dimostrato di nuovo.
Partiamo dalla storia di Benvenuti, credo il primo fatto non da nomadi ma da residenti causa lockdown.
In realtà abbiamo iniziato a concepirlo prima del lockdown, molto è stato fatto in Brasile. Col tempo ha preso forma ed è nato già con l'idea di sperimentare diversi produttori e scrivere con altri autori. Prima facevamo tutto noi stavolta ci siamo messi alla prova.
C’è qualcuno non è benvenuto a casa vostra?
Il titolo è una riflessione a quello che è il disco, è il risultato di migrazioni e mix di culture: abbiamo messo a rischio la nostra identità, perché quando ti apri rischi l’identità, sei sempre in bilico e quindi siamo in gioco. Quando chiedi agli altri che pensano di te già ti metti in discussione e scopri tanto di te stesso. Noi non abbiamo mai voluto essere la copia di noi stessi. Benvenuti è un prisma sul mondo, è l’empatia verso il mondo. Accogliere è arricchimento non paura. Dobbiamo convivere tutti insieme certo che se citofonasse Bolsonaro gli diremmo che magari è meglio che suoni a qualcun altro.
Se non è la luna cosa fa innamorare?
La capacità di privare affetto per altri.
Bruciare in fretta come sigarette è un bene o un male?
E’ quello che è la vita, che è breve e va vissuta nel miglior modo possibile. A ognuno capitano allegria e tristezza indipendentemente da chi sei. La missione è fare il meglio possibile con quello che hai.
Come è nata la collaborazione con Margherita Vicario? Avete capito chi è il problema tra i due?
Ci vogliamo bene, c'è sempre stata tanta stima reciproca; da tempo volevamo fare qualcosa insieme, ci unisce la passione per Ornella Vanoni, Toquihno, Vinicius De Moraes...e Karma Sutra rimanda a quei suoni. Il pezzo nasce come dialogo e la risposta femminile è la ragazza.
E’ poetico Piazzale Loreto a Milano?
Lo è sempre, lo è quanto San Paolo in Brasile.
Intermission cosa ha di particolare che è la sola che avete arrangiato voi da soli?
E' stato l'ultimissimo bramo a entrare nel disco; è una canzone che raccoglie tanti concetti improtanti, è un collage di cose che ci stanno a cuore nate durante la creazione dell'album.
Da dove viene l’ironia del disco di platano? E di Pier Paolo Pasolini?
Viviamo in tempo di pseudo intellettuali e chi fa citazioni diventa automaticamente autorevole e magari non hai mai letto libro. Il nostro amico rimorchiava citando Pasolini senza conoscerlo. Il brano denuncia la mancanza di profondità. E poi c'è la precarietà della scelta di fare l’artista e le pressioni che si subiscono: quanti ascolti fai va spesso in contrasto con la genuinità della musica.
Siamo soli quando siamo insieme: è lo specchio di questa epoca?
Purtroppo sì ed è un invito all’incontro, viviamo davanti a uno specchio, sviluppiamo un dialogo narcisistico con noi stessi che tracima nei i social i quali generano una visione individualistica di ognuno di noi.
Perché Estate? E la prossima di cosa la vorreste piena? Perché Priestess in questo brano?
La vorremmo piena di concerti, viaggi, gente, vogliamo buttarci tra la gente. Estate in Brasile è un pezzo molto importante, lo ha già fatto da Joao Gilberto in versione Bossanova. Noi lo abbiamo già proposto dal vivo. Di Priestess abbiamo ascoltato un suo pezzo al di fuori del rap che ci ha colpito molto. E' uezzo italiano classico che diventa bossanova e si appoggia a una ragazza che arriva dal rap/trap. Abbiamo coinvolto due musicisti brasiliani e uno che suona il cavaquinho.
Che differenza c’è tra temporeggiare e perdere tempo?
Non puoi perderne perché il tempo non si perde, si trasforma. Anche se abbiamo ansia bisogna viverlo.
Come racconterete il disco aspettando i concerti?
Più che un disco è un concetto condividere, è una lente sul mondo usata in modi diversi. Abbiamo studiato una sitcom per raccontare questa idea. Progettiamo una integrazione con i musei, insomma uscire appena possibile vogliamo uscire dall'ottica social.