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Cosa diavolo ci faccio qui: il late night show sulla musica di DNA Concerti

Musica

Camilla Sernagiotto

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A un anno dall’inizio della pandemia, ecco il primo spettacolo notturno a tema musicale che parla proprio dei problemi che le sette note stanno avendo con lo streaming (a cui il Covid ci ha costretti). A idearlo e condurlo, il fondatore della famosa agenzia di booking, Pietro Fuccio

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È passato un anno dall’inizio della pandemia. E la musica, specialmente nella sua veste live, è uno dei settori che più ha risentito della situazione.
In seno a questo duro colpo ricevuto tra capo e collo dalle sette note e dall’organizzazione degli eventi, è appena nato un progetto interessante, ossia uno spettacolo chiaramente da remoto (il canale su cui viene trasmesso è YouTube) che parla proprio di com’è difficile la vita oggi se sei un musicista o il fondatore di un’agenzia di booking, anche.

 

Pietro Fuccio è il fondatore della famosa DNA Concerti ed è proprio lui che ha avvertito il bisogno di un programma che parlasse degli addetti ai lavori e agli addetti ai lavori di quel settore così duramente colpito, il suo appunto. Non lamentandosi a loop, chiaramente, altrimenti l’appeal dello show sarebbe ai minimi storici: con un taglio ironico e auto-ironico, divertente e intelligente, Fuccio ha dato il la (rimanendo in tema) a Cosa diavolo ci faccio qui.

Cosa diavolo ci faccio qui

Si intitola Cosa diavolo ci faccio qui ed è un nuovo format appena approdato sul web, creato da DNA Concerti assieme a Mob Studio. Si tratta di un late night show che shakera musica e parole. Con una ciliegina, anzi un’oliva nel Martini (dato che è uno spettacolo inebriante): molta ironia.

 

Uno show in streaming che parla dei “dannati” eventi in streaming, tanto odiati da tutto il settore, Pietro Fuccio compreso. “Io odio lo streaming”, dice a mo’ di Puffo brontolone nell’incipit della prima puntata del programma, andata in onda sul canale YouTube di DNA concerti poche ore fa.

Qui di seguito vi riproponiamo la prima puntata, una prova convincente che ha già in nuce tutto quello che vedremo nei prossimi appuntamenti.

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Uno show musicale in streaming che avalla la tesi che lo streaming non funziona nella musica è alquanto geniale. Sembra quasi una “supercàzzola” à la Amici miei e invece è l’idea che sta alla base del format.

 

Il fondatore di un’agenzia di booking si improvvisa conduttore, non senza l’aiuto di una “co-presentatrice sottopagata”, ovvero l’attrice Silvia Morigi. Parole, parole, parole (Mina docet) ma anche musica, musica, musica. A farla live (in streaming) è il resident duo formato da Adriano Viterbini e Marco Fasolo, che alternano intermezzi musicali (come in ogni late night show che si rispetti) a tante gag, divertissement, pensieri sparsi e chiacchiere varie.

 

Ospiti della prima puntata sono stati Auroro Borealo, Dieci, Vanbasten, Emiliano Colasanti e Nicolas Ballario, inoltre Marco Castello ha presentato il suo disco d’esordio, Contenta tu. Perché purtroppo questi sono tempi bui in cui i cari vecchi release party si possono fare indovinate un po’ solo come? In streaming, esatto.

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Cosa manca agli streaming?

Secondo le parole di Fuccio, ben espresse nel primo episodio di Cosa diavolo ci faccio qui, lo streaming non è la luce in fondo al tunnel in cui è incastrata la musica oggi, anzi.

 

Non è la soluzione perché si tratta di una fruizione che non tiene conto degli ingredienti fondamentali di un concerto, quelli per cui la gente macina chilometri pur di andare sotto a un palco: essere nello stesso luogo con i musicisti amati e anche con gli altri fan, sentendosi in qualche modo parte di una community.
La condivisione è ciò che rende un live unico. Irripetibile è quella cosa lì, non tanto l’esibizione in sé.

 

Un qualcosa che va oltre al senso dell’udito (il senso principe quando si parla di musica) e a quello della vista (anche l’occhio vuole la sua parte a un concerto, se no basta ascoltarsi un disco live e via).

 

Dal vivo subentra l’olfatto, cosa che lo streaming non potrà mai riprodurre. Sentire l’odore del locale, sudore e adrenalina comprese. Assaporare l’esperienza sotto ogni aspetto. Perfino il tatto era uno dei sensi coinvolti quando si poteva andare ai concerti: dal biglietto consegnato all’ingresso, su cui stavano così saldi i polpastrelli sudaticci di entusiasmo (o sudaticci di calore di giugno-luglio-agosto, per quanto riguarda i festival en plein air) fino ad arrivare alla condensa della birra presa al chioschetto (festival estivi) o al bar (concerti al chiuso)… Quanto ci manca tutto questo? Tantissimo a noi tutti, figuriamoci a chi con tutto ciò inoltre ci vive.

 

Pietro Fuccio, da buon addetto ai lavori che si intende chiaramente anche del lato economico della faccenda, aggiunge che c'è un’altra causa che decreta l’insuccesso dello streaming musicale: la questione soldi.

Fare bene gli streaming costa tanto e non dà occupazione ai chi normalmente, pre-pandemia, lavora ai tour.

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