Sabato 13 febbraio Nicolas Altstaedt, violoncello, e Alexander Lonquich, pianoforte, dal Teatro Municipale Valli inaugurano questa singolare stagione concertistica con l’integrale delle sonate per violoncello e pianoforte di Beethoven. L'intervista ad Alexander Lonquich
E' l'appuntamento che avrebbe dovuto inaugurare la stagione in presenza e che I Teatri hanno voluto confermare anche a distanza. Due protagonisti di primo piano del concertismo internazionale, musicisti in cui maturità e spontaneità si intrecciano con una consapevolezza profonda e una dimensione culturale ricchissima. Il programma del concerto è anche parte di una disco uscito recentemente per Alpha Classics, nel quale Nicolas Altstaedt e Alexander Lonquich, si sono cimentati con strumenti d’epoca: Altstaedt per l’incisione ha scelto di usare un violoncello con corde di budello, un Guadagnini di Piacenza del 1749, suonando con un archetto classico, mentre Lonquich ha registrato suonando un fortepiano Graf del 1826. Si può partecipare al concerto gratuitamente, dai canali youtube e dal sito www.iteatri.re.it. E, sempre sperando in una prossima riapertura, si lavora anche a un progetto video di valorizzazione dei luoghi del teatro e della musica da camera
Maestro Lonquich considerato il periodo, come è stata preparato il concerto?
Alla fine abbiamo fatto una cosa abbastanza tradizionale, seduti vicini m va detto che anche in condizioni nrmali non siamo appicccati. E' un repertorio che non suoniamo da tempo. La modalità streaming mi resta estranea ma sono felice di poterlo fare pur essendo una modalità estramente innaturale.
Quali sono le difficoltà delle sonate per pianoforte e violoncello di Beethoven?
E’ una gioisa esecuzione, sono tutte e cinque tra le cose più belle che ha scritto. La difficoltà consiste nel cogliere il carattere diverso tra le prime due, le ultime due e la terza che è isolata. La terza e la quarta sono le più difficili per l’audacia della scrittura violonecellistica, bisogna conoscerle profondamente.
Nel disco suona un fortepiano Graf del 1826: l’emozione?
Quando si suona con un pianoforte non ci sono problemi. Lo faccio abbastanza spesso, ci vuole confidenza: intanto occorre comprendere il suono che il compisitore orientava, poi le sonorità diverse e le caratteristiche che lo rendono differente da uno odierno. Il suono cambia radicalmente, c'è molta meno estensione tra pianissimo e fortissimo ma il suono ha un grandissimo fascino. Beethoven in quel tipo di sonorità voleva sempre muoversi più in là, osava sempre.
Come procede l’attivita con sua moglie Cristina Barbuti? Il vostra due pianistico su che repertorio si concentra?
Stiamo studiando alcune sinfonie di Brahms arrangiate da lui stesso. Di Debussy facciamo La Mer messa in versione quattro mani dall’autore. E stiamo rivedendo anche altre composizioni.
Nella doppia veste di pianista e fortepianista ha lavorato su Bach a Schumann e Chopin poi con l’Orchestra da Camera di Mantova ha lavorato su Mozart: ha un compositore preferito?
Posso dire che è una sfida ogni volta, non dipende dal compositore. Con l'Orchestra di Mantova ho eseguito l'ultimo concerto prima della chiusura dei teatri, cinque concerti Beethoven. La vita dell’interprete è interessante perché ogni grande compositore propone sfide che non si esauriscono mai. Quando riprendo pezzi già fatti riscopro nuove corrispondenze interne ed è quello che rende attuale una musica secolare.
Che percezione ha dei giovani attraverso le sue masterclass?
Difficile parlare di giovani, si possono vedere certe tendenze. E’ un mondo molto difficile. E’ un mondo gelido. Pochissimi troveranno spazio in attività concertistiche. Pochi sono capaci di non farsi sconvolgere la vita delle difficoltà e rimanere con la concentrazione e l'amore per la musica. Non rimprovero l’autopromozione ma distoglie dalla finalità. La stessa Europa quando fa bandi per nuovi musicisti fa fare corsi di auto-promozione dunque è difficile che uno arrivi a una masterclass in modo disinteressato per approfondire. Non è colpa loro è il mondo che si ritrovano che tende a spingerli alla deriva.
Che succede in questo periodo nel Kantaotelier?
Niente perché non possiamo far entrare persone ma appena possibile ripartiremo. Si è fermato il progetto Dedalus su Joyce, è bello venire a contatto con realtà letterarie, proporre un non convenzionale approccio alla musica.
Che farà nelle prossime settimane?
Stavo studiando una serie di pezzi per concetti disdetti, bisogna cominciare a capire quando si potrà ripartire, speriamo dopo Pasqua. Bisogna vivere la contemporaneità. Temo che questa situazione ci faccia perdere una generazione di giovani, ci sono molti ragazzi che dovevano costruirsi un percorso e che non sono riusciti mai partire. Anche chi ha vinto concorsi è in difficoltà per questo sostengo che bisogna ripartire.