Cinquant'anni di storia della canzone attraversati da protagonista. Ha firmato decine di canzoni indimenticabili, si è raccontato nel libro "E la vita bussò" e come Presidente del Consiglio di Sorveglianza della SIAE combatte quotidianamente per sostenere un mondo che il coronavirus ha stremato. L'INTERVISTA
Non c'è tempo per lui per essere tranquillo. Mario Lavezzi, cinquant'anni per la musica e con la musica raccontati nel coinvolgente libro E la vita bussò, anche in questo periodo di festività è impegnato, nel ruolo di Presidente del Consiglio di Sorveglianza della SIAE, a limitare i danni che il covid (tutto sul coronavirus) sta arrecando al mondo della musica.
Mario come procedono i lavori in Siae?
Abbiamo presentato un piano per arginare i danni, non scordiamoci mai che dagli autori parte qualsiasi forma di spettacolo. Parliamo di Sanremo?
Certo.
Intanto si chiama Festival della Canzone Italiana e dovrebbe rappresentare l’eccellenza della musica italiana. In origine gli editori facevano a cazzotti per trovare la canzone migliore che poi veniva assegnata al cantante. Uno come Tony Renis ci ha fatto il giro del mondo con le canzoni del Festival e molti altrei sono andati all’estero.
Cosa è successo poi?
Oggi è uno show televisivo con la musica come pretesto. Poi c'è chi è bravo: Diodato mi piace, è credibile, come mi aveva entusiasmato L’Essenziale di Marco Mengoni, ti confesso che ho invidiato chi la ha scritta. Ma più passa il tempo più la memoria è corta: se si tornasse a scegliere prima la canzone e poi si assegna magari si risolleva la cultura popolare. Tre anni fa abbiamo fatto petizione per cambiare la formula, è il concetto che va cambiato.
E comunque il sistema è al collasso.
Il guadagno viene dall'esecuzione pubblica cioè dalla musica dal vivo in tutte le sue forme, che si è fermata e nessuno ne parla. Della cultura popolare non se ne parla, abbiamo ottenuto qualche ristoro e ora stiamo facendo un lavoro ciclopico per rendere la Siae in sintonia con la fruizione della musica oggi che è digitale.
Tra gli spiragli c'è Campusband, il contest per gli studenti che alla passione per lo studio abbinano l'amore per la musica.
E' sempre presieduto da Siae. E’ un lavoro che facciamo soprattutto per i giovani, è una idea mia perché nasco da studente in ragioneria: ai miei tempi oltra a quello le alternative erano studiare da geometra o le scuole magistrali; le categorie sono interpreti, cantautori e gruppi; devono portare una cover e un inedito per partecipare e chi vince pubblica il singolo e fa il video. L'iscrizione è gratuita e per chi viene da lontano c'è un rimborso spese. Per i primi classificati delle altre due sezioni sono previste borse di studio per il Cet di Mogol o per il Cpm di Franco Mussida.
Ascolti musica? Cosa ti piace?
Ho sempre ascoltato la musica degli altri. Col mio primo gruppo facevamo ballare la gente, all'epoca c’era solo la musica dal vivo. Rammento che ottenemmo un contratto a Finale Ligure e suonavamo dalle 9 di sera, partendo con la dolcezza di Blue Moon, per poi arrivare alle 2 con la spinta rock di Beatles e Rolling Stones. Per reggere certe serate devi avere almeno 250 canzoni in repertorio ed è così che impari, che fai palestra. Ci giro intorno alla musica, il mio gruppo di allora si chiamava Trappers ed era il 1964. Oggi mi piaciono Ghali, Sfera Ebbasta, Fabri Fibra che ha anche ha fatto E la pula bussò.
Come vivi la quarantena?
Durante il primo lockdown andavo in studio e fissavo le idee poi le sviluppavo. Sono nate cinque canzoni scritte con Mogol che sono notevoli. Abbiamo l’autocritica di capire le più forti e le più deboli. A volte serve pazienza: Vita la avevo proposta alla Mannoia e a Mina ma non le convinsi poi dopo sei anni è arrivato Lucio Dalla...
Stai sostendo E la vita bussò, il tuo libro?
La promozione del libro va avanti. Alcune presentazione le ho fatte anche online con l’editore Morellini. Quello che è possibile lo facciamo e speriamo almeno in estate di fare qualche spettacolo. A gennaio 2020 ci sono state cinque date promozionali con debutto a Cagli. Ho riscontrato un ottimo successo perché il mio spettacolo va dal beat ai figli dei fiori, dall'impegno politico alla dance e racconto anche aneddoti; è quasi un teatro canzone.
Da queste feste cose ti aspetti?
Un periodo sereno in famiglia. Sto continuando a lavorare al meglio per ottenere meno danni per tutti. Ragioniamo sul 50 per cento di perdite. Chi prima prendeva un milione di euro di Siae può vivere anche con 500mila ma pensiamo a chi ne prendeva 15, 20 mila e si ritrova ora con la metà: dobbiamo agire per fargli portare avanti l’esistenza.
Abbiamo iniziato la nostra chiacchierata a Sanremo, chiudiamola a Sanremo: come ti immagini un Festival senza pubblico?
Quando sale sul palco e vede la gente, l’artista prova adrenalina ed emozioni. L’anima serve per trasmettere l’emozione che va alimentata, vissuta. Mick Jagger i salti sul palco li fa per il pubblico, per l’incitamento che riceve dalla gente. Quindi ti dico che provo un forte senso di freddezza.